mercoledì 7 agosto 2013

Transumanza.





Riparto dalla zona a nord di Pavia. Colazione a Binasco, carico, metto in moto e parto. So la strada, almeno fino ad un certo punto. Ho già visitato la Certosa anni fa, sotto un acquazzone, non ero solo. Tuttavia decido di fare una capatina e vederla da fuori. Lungo il viale che porta alla Certosa gli alberi folti creano una barriera d'ombra invitante. Vado piano, lento, mi godo l'arrivo a questo spettacolo pavese. Tutto è come qualche anno fa: parcheggio incustodito a pagamento, strada non accessibile, ristorante in rovina prima dell'entrata. Tutto è uguale...
Osservo, ricordo, penso... Amareggiato dal passato volgo i cavalli altrove e torno verso la strada che porta al centro di Pavia. I miei pensieri provano a seguirmi ma per un po' non ci riescono e rimangono indietro, alla porta della Certosa.




Accelero verso il centro città, entro. Errore. Ci metto mezz'ora per uscire, senza vedere niente di interessante, concentrato come ero ad uscire col navigatore dalla città. Finalmente uno spiraglio verso Broni, faccio sosta non appena la strada intrapresa è unica e sicura, o quasi.



Mi fermo una osteria. Non c'è nessuno, sono le 11. Scendo, spengo. L'oste mi porge la bevanda che ho appena ordinato: sembra un uomo tranquillo, sicuro di non fallire con quell'attività che da anni gestisce, e prima di lui probabilmente toccò ai genitori. L'antica trattoria, insomma, è un bene di famiglia.
Mi accomodo fuori e sorseggio il liquido nero a base di caffeina. Guardo la strada dalle ampie carreggiate; ampie e quasi deserte. Meglio così...
Ad un tratto un avventore. Siamo in tre a frequentare 10 metri quadri ora. Alto, grassoccio, parla da solo all'entrata, ed all'uscita porta con sè un caffè e un bicchier da mezzo litro d'acqua. Sorseggia a turno assaggiando entrambe le temperature, bofonchiando e parlando sommesso. Da solo. Non ha auricolare, non ha destinatario. Parla. Da solo. Poi Entra, svuota le mani, esce, va verso il parcheggio e verso il suo mezzo.
Poco dopo, dall'uscio dell'osteria, con la leggerezza dell'oste che sa trattare con leggerezza, sapienza e stile i propri clienti, si sente un grido: "Oo, capo! Capo! Hei! È pronto, cazz". Il ragazzo ha classe da vendere.




In strada verso Bobbio.
Faccio miscela; ho fretta, e non so perché. Non ho appuntamenti. Ma ho fretta. Forse di far miscela. Vorrei esser a Bobbio per pranzo. Impossibile, sono le 11.45. La strada sulla carta però è poca... Ci provo... Ed abbandono subito il proposito. La parte di strada che passa per Volpiano, da Santa Maria della Versa è bella, in salita, piena di buche, gialla, con vigneti in ogni dove. Cerco la strada a naso. Uso il navigatore per sicurezza. Bello il panorama, mi sento piccolo.









Proseguo e sono le 13 circa. A Le Moline cedo. Antica Osteria. Proviamo, mangio con calma: il prosciutto cotto alla brace è buono, molto, e non lo sapevo! Vino rosso, caffè, una caricata al telefono, due parole coi gestori e riparto.








Stupendo il ponte romano a Bobbio. E anche le bellezze femminili che nell'acqua trovano conforto!
E in centro città trovo qualcosa che dalle mie zone proviene...







L'appennino è lento, insidioso, ma bello. Incidente grave, molto grave. Frontale tra una vespa ed un'auto. Elicotteri, ambulanze, barelle. Cerco di non guardare, di non pensare. È appena successo. Mi fermo a fare miscela, scosso, non voglio più proseguire, mi faccio venire a prendere.
Al distributore un uomo mi chiede se vengo da Bologna; vede la targa e deduce. Dico di essere di Padova. Lui conosce la zona, sa che mangiamo i cavalli, mi dice che ho fegato per essere arrivato fino a qui. Lo ringrazio e procedo, più piano, più timoroso. La valle merita foto che non posso fare, tra buche e curve non mi posso distrarre. Cerco di rubare qualche foto dalle piazzole di sosta ricche di arbusti, a differenza delle bellissime curva nude da vegetazione che regalano paesaggi da brivido. Sono a picco sul fiume, a mille metri di altezza, da solo. Lontano da casa, amici, sicurezze; e accelero per non sentir ciò che penso.





Mai partire senza aver testato i progetti artigianali...
Sosta birra. Ci vuole. Osteria! Spengo. Ordino. Anzi: scendo. Spengo. Ordino. Mi siedo. Vedo ed impreco: il porta ruota è paurosamente inclinato verso il basso. Mi avvicino con dolore sperando non sia ciò che ho già pensato; il proprietario del locale teme che io fugga, senza pagare, senza aver ancora consumato. Non mi conosce, non dice nulla però. Osserva me mentre io osservo lui, il portaruota. Decido di tamponare momentaneamente con una cinghia, legando la ruota alla bene e meglio. Mi sembra una buona cosa, infatti ha tenuto fino alla meta giornaliera!









"Dio ci protegga dai pericoli della strada".
Percorro moderatamente il tratto di strada in valle d'Aveto. Ho già lasciato il Tebbia. Anche qui resto incantato dalla vista della valle. Ad un tratto, su un costone divroccia si staglia la scritta:
"Dio ci protegga dai pericoli della strada". Per leggerla per poco non sbando e mi fermo subito dopo in una piazzola a far una foto. Buona sorte fu. Mezzo minuto dopo, ripresa la via per Chiavari, un camion articolato carico di legname si affaccia in una curva di una strada stretta per lavori. Buona sorte fu che io non fossi in curva in quel momento, ma ancora nel tratto di strada sgombrò da lavori e quindi più ampio. Ho tremato.
Proseguo e Chiavari si avvicina di un chilometro ogni chilometro: a ricordare ciò vi sono lungo la strada una serie di cartelli che, appunto, ricordano che a Chiavari manca un chilometro meno che al cartello precedente. Ogni santissimo chilometro.
A proposito di cartelli... Non posso dimenticare di menzionare una cosa che mi fa riflettere: anche qui è tempo di sagre e feste. E come ad ogni sagra che di rispetti deve esserci della musica. Bene: non ho mai visto tanti manifesti brutti, insulsi ed idioti quanto quelli che ho visto qui, per pubblicizzare i divi locali. Giovani, anziani, giovanissimi maestri di liscio con tanto di fisarmonica, donne, gruppi. Anche da noi esiste questa usanza e questa propensione a creare dei manifesti privi di un qualsivoglia gusto, ma qui si passa il limite. Qui i manifesti e le locandine dei Big della festa di piazza sono proprio brutti. Veder per credere!



B&B Case Sottane
Arrivo dopo le varie peripezie della giornata. Luogo dimenticato dalle Divinità. Appuntamento con Ivo, il proprietario, in mezzo alla strada. Lo stesso posto che spetterà di diritto alla mia Lambretta come giaciglio per la notte. Non sono d'accordo, ma non ho alternative. Incateno e mi fido. Dolorosamente.
Per arrivare all'appartamento affittato devo percorrere un labirinto di ortiche, lastre e scalini dissestati. Tuttavia il luogo sembra confortevole anche se sicuramente abitato fino alla sera prima. Lo deduco dagli strumenti per la pulizia ed igiene orale che trovo in bagno, spazzolìno compreso; lo deduco dalla mole di materiale edibile che trovo nel frigorifero. Ma non importa, per ora fa lo stesso.
Esco per cena chiedendo rassicurazioni per il mio ferro. Trovo un affittacamere con ristorante su prenotazione. Sono le nove e non ho prenotato. Chiedo se posso aver del cibo. Mi accomodo fuori del locale; mi offrono salumi, formaggi, vino, torta, caffè e liquori. Non potevo di meglio sperare. C'è lì una compagnia di persone del luogo, o quasi. Divertenti i racconti sulla caccia e sull'arte culinaria italiana. Aneddoti un po' di tutti i tipi si alternano al tavolo. Io distrattamente ascolto, o registro per farmi due risate con gli amici apportando le prove di quanto racconto o racconterò. Torno verso la mia stanza.
È buio pesto, mezzo chilometro abbondante in solitaria, in mezzo al nulla, in luoghi che non si conoscono minimamente è una bella cosa da fare solo se si ha un buon motivo...









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