sabato 1 agosto 2015

On the road. 31 luglio. Non si sorge mai a caso.


Sorgo anche io stamattina, come sorgono le città, il sole e le cose belle... Ma non Sorgo dal nulla, nemmeno io. Sorgo da un letto, di non so chi...
E Sorgo, presto e un po' nuvoloso. Il collo pesante. Vorrei rimanere a letto. Ma mi dovrò pur muovere da qui. È bello essere sopra le radici di una città, ma è pur intelligente capire che da qui ci si deve spostare. Ho un accordo con la risoluta signora, proprietaria del BeB: colazione quando voglio, tanto è a buffet, e ritrovo alle 10.30 circa per la mia partenza. Ha la mia celeste saetta nel suo garage... Lì. In ostaggio. La deve liberare lei. Una volta sveglio decido. Me ne frego della signora, mi alzo e vado a fare colazione con Giacomo. Si. Il dado è tratto, ed informo Giacomo della cosa. In 10 minuti sono quasi pronto. Fortunatamente non mi devo truccare e non devo controllare di che colore sono le scarpe per abbinarle alla borsa. Pantaloni e maglietta, calzini e scarpe incollate. E giù in ascensore! Attendendo controllo un po' cosa succede in galleria San Francesco. E beh, direi... Un po' di tutto. Chi chiede l'elemosina seduta in un angolo, chi si dirige al bar o in farmacia, chi porta direttamente il caffè dal bar alla farmacia, chi alla OVS fa shopping... E qui ho una mezza illuminazione, notando che il piano terra del negozio, quello più visibile al pubblico - poiché esposto su due lati a favore di strada- ed il più visitato, è popolato solo ed esclusivamente di figure femminili. La riflessione è: "ma quanto fanno girare l'economia le donne?". Non mi rispondo. Evito. E decido di indagare l'altro lato della galleria, dove ha ingresso anche il mio BeB. Noto che le attività che hanno sede nello stabile, anche ai piani superiori al primo, sono molte e sorrido alla vista dell'insegna dell'agenzia "Eliana Monti: questioni di cuore". Sullo stesso piano, alla porta difronte, deve esserci stata la sede di uno studio legale... E ci sono commercialisti, parrucchieri... Non manca nulla. E finché non manca nulla - nemmeno la donna in camice blu che pulisce e sistema la vetrina della OVS - arriva Giacomo, ed andiamo al Dado a fare colazione. L'aria è fresca, la pioggia della notte ha pulito la città. Ci sediamo fuori, sotto ad un ombrellone bianco. Ci servono dopo aver ordinato. Ed è qui che il ragazzo indigeno nota una cosa all'interno del bar, davanti al bancone. Un esemplare di "femme fatal", vecchio modello, vestita di tutto punto con scarpe con tacco, luminose, gonna a strisce, cappello raffinato e sigaretta lunga e sottile; quella che dalle mie parti, molto volgarmente, verrebbe definitivamente appellata "sigaretta da puttane". Molto appariscente lei, di bianco e nero e argento lucido vestita, con la borsa all'avambraccio; una donna che negli anni ottanta era giovane, bella, una signora alla moda, alla quale non mancavano le sostanze per essere sempre al passo con i tempi, un po' eccentrica ma elegante, da salotto buono, da Piacenza "bene", non da sala d'aspetto di un ufficio pubblico provinciale o da coda maleodorante alle poste. Alla sua vista sorridiamo, scambiamo qualche battuta, e penso che la signora merita di essere annoverata tra le figure di oggi degne di nota. Complimenti signora, davvero. Mi ricorda qualche film ambientato nell'Italia di qualche anno fa. Mi ha strappato un sorriso d'altri tempi... Un sorriso un po' snob, ma sincero. Ringrazio per averla trovata sulla mia strada.
E sorridendo e chiacchierando la nostra colazione volge al termine. Torniamo in galleria, ed alla porta dello stabile del BeB trovo la proprietaria dell'attività. Saluto Giacomo e salgo. La donna nota che non ho ancora fatto colazione, così le spiego che piuttosto ho preferito farla col mio amico. Lei approva la mia scelta, mi fa capire, molto chiaramente, che devo saldare il conto, e ci diamo appuntamento verso le 11, il tempo per me di sistemare lo zaino, per lei di passare da uno studio medico a prender qualcosa. Intuendo le abitudini della signora capisco che mi devo sbrigare, anche perché ho solo 20 minuti di tempo per sistemare tutto, riassemblare lo zaino e passare lo spazzolino tra i denti. Sono lesto, faccio tutto prima che arrivi la donna che, con mio stupore, al rientro suona insistentemente il campanello. Ha infatti dimenticato le chiavi dell'appartamento all'interno e sperava che con il suo scampanellare ripetuto io potessi sentire ed aprire. Con molta spensieratezza sento suonare e apro. E lei, con molto sollievo, spinge ed entra. Carico in spalla il mio zaino, prendo la mia borsa, il casco. Scendiamo insieme in ascensore e andiamo al garage. Mi spiega, questa donna, che vorrebbe poter appendere la bicicletta da qualche parte in garage, perché, se la lasciasse appoggiata con le ruote al terreno, non ci starebbe più l'auto. Trovo con la signora una soluzione per appendere il suo biciclo alla parete. Lei sembra soddisfatta della cosa e mi ringrazia. In fin dei conti è una buona persona sotto quella scorza un po' ruvida... Ma bando alle cose di poco conto. Tiro fuori la mia giovenca inferocita dal garage, e via, alla conquista della pianura!
Uscire da Piacenza non è difficile. Più complicato è trovare la strada che voglio fare io. E quindi, acciocché tal cosa succeda, mi fermo spesso. Molto spesso. Spessissimo. E perdo molto tempo, una mia specialità oggi! La direzione è quella verso Parma, ma senza andare a Parma. Voglio stare più a nord, verso il Po. Ho la mia meta da raggiungere, che un po' è la destinazione di questo mio viaggiare vagabondo, senza pretese e senza ansie, alla ricerca di tutto e di niente, assieme a me stesso. Il percorso si snoda tra terre desolate e meretrici di varia razza e colore, strade lunghe e diritte delle quali non si vede la fine; tra piccole vie, tra paesi, ma soprattutto, paesetti. Passo in mezzo a tutti: Cortemaggiore, Busseto, Soragna, Frescarolo... Frustato dal vento ci metto una eternità. Forse un po' meno ma... Mi perdo in ogni centro. E ad un certo punto, ad un crocicchio, mi fermo. Una osteria. È l'una passata, ed è ora di far rifornimento. Voglio del buon vino rosso. Altro non mi interessa. Il locale sembra chiuso ma... È aperto, anche se chiuso. Proviamo. Parcheggio in via definitiva davanti al locale. Soffoco la mia fumante leonessa color dell'acqua cheta, e scendo. I segnali che il locale manda sono ambigui. C'è un mezzo parcheggiato davanti al locale, ma l'interno sembra buio. Decido che la vista non è sufficiente. Serve il tatto. Prendo la maniglia di quella che sembra la porta principale e... Tiro. Spingo. Agito. Non si apre. Sosto sotto il piccolo portico per dieci secondi, per capire dove poter leggere orari di apertura e chiusura ecc... Ma nulla. Sto per volgere il mio deretano altrove quando sento una chiave girare all'interno della serratura della porta che avevo minacciato qualche secondo prima. Si apre la porta ed un signore esce. Io mi scuso preventivamente per il disturbo, non volevo essere scortese ma non capivo se il locale fosse aperto o meno... Questo uomo, tipicamente padano, mi dice che è aperto anche se è chiuso. Io non pretendo altre spiegazioni. Un po' interdetto e con un punto interrogativo stampato in fronte che mi si leggeva anche da Parma, non faccio a tempo a pensare a quanto mi dice quell'uomo, disturbato e distratto dalle sue faccende, che mi ritrovo a dire: "si certo, faccia lei". E caspita. Io non so perché ho detto si. Perché l'ho fatto... L'offerta completa dell'oste era questa: "guardi, volentieri, se vuole, io le preparo un piatto di salumi assortiti". Una volta accortomi di aver asserito a tal proposta, decido di sedermi fuori. Arriva un ragazzo al tavolo per preparare il coperto. Non alto, capelli corto, scuro. Occhiali tondi, forse qualche segno di acne al volto. Molto professionale, in informale livrea scura, con la R moscia, come il topo della pubblicità del formaggio... Ecco. Si. Così.
Tovaglia di cartone grossa sponsorizzata da nota marca di yogurt, tovagliolo, posate, due bicchieri. Come se fossi un cliente normale, mi chiede cosa voglio da bere. Vino. Ovvio. Ne hanno alla spina, della casa. E va bene! Lambrusco? Certo! Ovvio! 

Parte II.

 Attendo ancora qualche minuto mentre mi guardo attorno e vedo dall'altra parte della strada una coppia di signori quasi anziani alle prese con cofano motore ed elementi di meccanica, su di una piccola Citroën. L'ho sempre detto io: "non fidarsi delle auto e dei motori francesi...".
E mentre mi gusto questa scena alla Benny Hill, ecco che si apre la porta del locale, quella che avevo cercato di forzare io prima per entrare, e... Al primo giro, vino e acqua. Ma al secondo, un piatto tondo, non grande, ma colmo di affettati! E caspita! Salame, culatello, pancetta, e altro. Un po' di pane e via. Alla spartana, alla selvaggia. E va bene così, con semplicità, senza far troppi problemi, senza fronzoli o preamboli! Che tanto poco ci vuole a volte...
Gusto i miei salumi ed il vino, tutto molto gustoso e salubre. Sulla strada non passa anima viva per mezz'ora. Ma poi un mezzo, piccolo, si ferma. Esce dalla lamiera lavorata una coppia di signori, dall'andatura tranquilla e serena. Entrano nel locale - facile adesso, vero? Lo avete trovato già aperto... - e siedono all'interno. Sento che il cameriere a loro propone cose. Cioè, cose che a me non sono state proposte. Lo so, io sono un po' selvatico, e si vede, ma quei signori si sono meritati un bel trattamento. Bravi, paciocconi che non siete altro!
Finisco le mie pietanze, decido che devo ripartire. Entro nel locale per corrispondere la cifra all'oste e sento profumo di fritto e di brace. Saldo, ed il cameriere dalla cucina mi saluta; contraccambio ed esco. Sciolgo la cavalla e via. Verso la pianura che costeggia il grande fiume. E se prima le strade erano tutte diritte e leste, ora si fanno tortuose e mosse, sembra quasi di essere sull'appennino, ma senza il sali e scendi tipico dell'altura. Posso così dare sfogo alla mia manza di razza, che, tra una sosta e l'altra per capir che direzione prendere, tratto e maltratto con molta poca cura. Ogni tanto ci vuole... Le strade si intersecano e continuo a perdermi nei centri dei piccoli paesi. Ma va bene, "a mete eccelse per anguste vie" recita Victor Hugo. Anche questo è vero. E la mia meta è vicina, non serve guardare la cartina. Ne sento l'odore nel paesaggio, si vedono gli scorci tipici della zona che costeggia il fiume da un lato e che si estende verso la grande pianura dall'altro. Qui le cose cominciano a parlare di tempi che non ci sono più...
Proseguo la mia corsa verso San Secondo, Coloro, Casale, e via diritto. Passo il confine tra provincia di Parma e Reggio Emilia. Ed ecco il primo cartello. Brescello, a sinistra, lungo l'argine. Eh già. Ho sempre pensato che prima o poi, un giro in questo centro lo avrei pur fatto. Un po' per la mitologia che permea l'atmosfera e la fama che questo paese ha acquisito, un po' perché comunque, non ho mai visto questa zona. E la mia curiosità è vorace. Lungo la strada già ci sono i segni di un passato un po' sterile. Molto è legato ai nomi di due personaggi: rassegne cinematografiche, incontri divulgativi sulla vita di Guareschi, insegne esplicative, e così via. Arrivando al paese un tabellone gigante ricorda, a chi non lo sapesse, che questo è il paese di Don Camillo e Peppone. Si, Brescello.
Seguo le indicazioni per il centro, passo strade strette ed ecco, la via che porta alla piazza. La prima cosa che mi viene in mente è che Brescello, allora, esiste davvero! Entro in paese, al minimo, a fil di gas, per non disturbare. Un sorriso sulle labbra: sapevo che ci sarei arrivato, che con calma, sarei arrivato anche qui. Lo sapevo, lo sapevo! Vado lento, osservo gli stabili ai lati della strada ed ecco, sono in piazza. È lei, rivisitata. Ma è proprio lei, il set a cielo aperto. Entro e parcheggio, e me ne frego dei divieti. Il caffè Don Camillo è il locale antistante la chiesa. Entro. Con un po' di delusione mi serve una ragazza cinese assieme ad una sbatilova dell'est. Va bene, non importa... Lambrusco per me, lo attendo fuori.
Architettonicamente la piazza è la stessa, ed anche il bar è rimasto dov'era. Se mi volto vedo ancora il "fratello" Don Camillo scendere dalla bici di corsa e menare un comunista! Che risate! E se guardo il frontale della chiesa vedo ancora il "compagno" Peppone che inveisce contro i preti ed il Vaticano. Si, vedo queste cose. Non in bianco e nero. E senza il pacifico ambiente che si respira e che trasuda da quelle pellicole. Ma tutto cambia, tutto passa e va. Brescello ora non ha molto della vita di quei film. Apparte i nomi - dall'altra parte della piazza c'è il caffè Peppone, che mi sembra anche più interessante di questo in cui mi son fermato - lo spirito contadino, mite, sincero, aspro e forte di quei tempi non c'è più. Brescello è un paese comune. Con la sua piazza, la sua chiesa, i suoi bar, i suoi immigrati, la gente che urla in dialetto ed in italiano... È un paese normale. Pieno di ricordi e normale. Bevo il secondo calice di Lambrusco. Il bar è vuoto. Decido di andare. Volto il mezzo è via. Lungo la via che conduce fuori dal paese vedo un bar. Lo avevo visto anche prima. Un signore anziano mi guarda, già da lontano. Con la mano mi saluta, la muove in maniera molto evidente. Sorride a tutta dentiera al mio passaggio. Lo vedo e ricambio il saluto. Mi chiedo se non ho sbagliato bar; se Brescello non avesse spostato il suo spirito genuino di una volta a qualche metro dalla piazza centrale. E. Probabilmente è così... Ma viro verso nord, verso Ostiglia. Il tempo è buono ma il vento è terribile, da quando sono partito stamattina il vento non mi ha mollato un attimo. Anche lui mi dice che non devo andare a casa, e soffia forte, in direzione contraria, perché io stia ancora via... E corro forte e veloce in quella strada tutta curve, sperando che un pollo non mi attraversi la strada. Rifornisco e via ancora, fermandomi poi in una strada desolata e dispersa in mezzo ai campi per mingere. Prima di Ostiglia ultima sosta, ho sete, ho le fauci aride. Stuzzichini e due calici di rosso; c'è da dire che comunque, consumo sempre meno della mia Lambretta! La cameriera è gentile davvero in questa gelateria, mista ad un bar/ristorante, e si preoccupa di farmi avere anche delle patatine. L'ultimo spuntino prima di puntare verso casa, passando tra Colli Euganei e Colli Berici, dove incontro un signore di mezza età, che in bicicletta attira la mia attenzione suonando il campanello. Mi saluta come fossi una celebrità, sorridendo forte e sbracciandosi. Gente veneta!
È già buio e vado veloce. Stasera sono esausto. 280 km di fila. Come al solito; one shot! Fino a casa. Riparo il mio destriero, anche questa volta ha fatto il suo sporco ed egregio dovere. Tanta strada in poco tempo quest'anno. Mi riprometto sempre di invertire questa tendenza, ma non ci riesco.
Prima di riparare la bestia un occhio cade al cielo, alla luna piena. Ringrazio chi mi ha ricordato questo spettacolo della natura.
Dopo la doccia purificatrice mi siedo e vedo tante cose, tante immagini, in fila alla rinfusa. Anche quest'anno è stato uno spettacolo. Non in goccio di pioggia minacciosa, non un problema, tutto è andato come doveva andare. Bene, bene, bene. Perché la mia buona stella è sempre lì e mi assiste. E non tramonta mai; diversamente da me ora, sfinito, esausto e contento. Crollo su un divano. Domani sarà un'altra alba... Come sempre.