giovedì 5 dicembre 2013

Della transumanza. Il labirinto.


Non ho problemi di memoria. Non ne ho mai avuti. Spesso mi trovo a dover raccontare, a parole - nude - un evento, una cosa, un luogo. La mia capacità descrittiva non è superlativa, è appena normale. 
Questo video era finito nel dimenticatoio, in mezzo a troppe cose.
A testimonianza di quanto descritto. A Borzonasca.



Riporto dalla "Transumanza".

"B&B Case Sottane
Arrivo dopo le varie peripezie della giornata. Luogo dimenticato dalle Divinità. Appuntamento con Ivo, il proprietario, in mezzo alla strada. Lo stesso posto che spetterà di diritto alla mia Lambretta come giaciglio per la notte. Non sono d'accordo, ma non ho alternative. Incateno e mi fido. Dolorosamente.
Per arrivare all'appartamento affittato devo percorrere un labirinto di ortiche, lastre e scalini dissestati. Tuttavia il luogo sembra confortevole anche se sicuramente abitato fino alla sera prima[...]".

sabato 23 novembre 2013

Vagabondi destini incrociati.

Non sempre decido chi o cosa cercare.
Spesso sono le persone e le cose a decidere di cercare me.


In una normale - normalissima - giornata, Borsa Valigia decide di trovare me. Non ci eravamo mai incontrati prima, io e Borsa. Eravamo dei perfetti sconosciuti. Lei lì, in un angolo, sola; mi guarda, con la cinghia un po' cadente, con quell'aria di indolenza, di insoddisfazione, di frustrazione. Vagabonda senza arte, datata. Di lei si potrebbe forse dire: "vintage"; ma si offenderebbe. Perchè vintage è di moda, e Borsa non è di moda, non ha deciso di essere "la" moda. Lei è fatta proprio così. La segna l'età; il tempo l'ha invecchiata, lei, che pur non sembra aver fatto grandi fatiche o essere sopravvissuta a molti stenti. Lei che ha passato una vita vuota, chiusa al mondo, senza estranei e senza amici veri. Lei... mi guarda. Io: la guardo. Noto che Borsa non è una borsa come tutte le altre: lei è una Borsa, con la "B" maiuscola. E lei nota me; che non devo essere uno come tutti gli altri; io sono Uno, con la "U" maiuscola. Mi avvicino a fatica, superando ostacoli e perigli di ogni sorta, cime di legno e di plastica, deserti di ferro e di tela. Lei sta lì, indifferente, con lo sguardo fisso e la maniglia al cielo. Finge di non notarmi, ma io lo so. So che non sbaglio. La sua indifferenza è solo una maschera; ha imparato dalle bambole di ceramica e tela che la frequentavano spesso, prima di stabilirsi al suo nuovo domicilio. Le avevano insegnato come si deve comportare una Signora Valigia. E lei ha imparato, e ora recita la sua parte. Ed io recito la mia: salto due mobili degli inizi del Novecento, schivo agevolmente due bancali di materiale organico; procedo a piccoli balzi; felino mi faccio, per non farla scappare, come si farebbe con una lepre impaurita. Ora è a pochi centimetri da me. Imposto la voce. Altisonante declamo la mia battuta: "Valigia! Sei Mia!". 
Lei tiene la parte; non sorride, non si muove. Ma capendo che dovevo arrivare si è fatta trovare pronta, con la maniglia al cielo. E quello era il segnale.
La prendo. 
La accompagno a casa mia. La lascio riposare; le dico di farsi una doccia, di stare tranquilla. Di fare come se fosse... in albergo. Di mettersi comoda e a suo agio. Nel frattempo preparo un aperitivo, così possiamo festeggiare la nosta conoscenza, fulmineamente reciproca...
Non le chederò la sua ergogenesi. Se le interesserà, le parlerò di me; faremo chicchiere in libertà. Ci conosceremo. Le parlerò del vecchio ferro color petrolio che sto curando. 
E diventeranno amici. 
Lo so.

sabato 9 novembre 2013

E questa? Ovvio: Mercedes.



Cercavo, cercavo; e cercavo. Cercavo da parecchio tempo ma forse non avevo mai avuto il coraggio di cercare veramente. O forse ascoltavo troppo i consigli di chi mi era molto vicino...  Nel non credere sapevo di sbagliare. Lo sapevo. 
Sento che sbaglio mentre sbaglio.



"Diego. Voglio una Mercedes del 1992. GPL. Non ho denaro per permettermi altro che sia affidabile e che funzioni, almeno per qualche anno, finchè non mi sistemo un po' con le finanze... Lo so che è da zingari, da papponi; ma io son fatto anche così... va bene, no?".
E Diego mi dice: "Ma cazzo, se cerchi una Mercedes, ne ho vista una io, l'altro giorno, a casa di Danilo. Non come quella che cerchi credo. Vecchia però, è lì da un pezzo. Ma devi parlar con lui, la vuole buttar al ferro vecchio, prova a sentirlo, è lì, gli è di impiccio anche"
"Ma vecchia quanto?"
"Guarda, non lo so. L'ho vista al buio"
"Ma, com'è?"
" Se era buio, ti ho detto. Ma so che è una Mercedes. [...] Prova a sentirlo ti ho detto!"
Si; me lo dice. E se me lo dice...

"Ciao Danilo, sono io, come va? [...] Senti: sto cercando una Merceds. [...] Ma infatti, mi ha detto Diego che hai u [...]"

Sopralluogo.
Oggi nevica, è un freddo e perturbato giorno d'inverno. Se mi muovo io per andare a trovare un mio amico non può che nevicare e tirar vento. Lo sa anche Danilo. Arrivo a casa sua e ovviamente mi fa notare come il cielo si imbufalisca per quella volta in cui mi muovo e per andarlo a trovare. Sorridiamo assieme alla cosa e ci scaldiamo con un caffè.
Già. Con Danilo ho calcato le scene per qualche anno, recitavamo con Diego, Eleonora, Silvia, Marco e tanti estranei che sono diventati amici di cui ci si può sempre fidare; quelli che ti aspettano sempre, soprattutto perchè sempre dico loro che passerò a trovarli; aspettano soprattutto perchè la mia volontà cozza spesso con la relatività del mio tempo che tende un po' troppo a stritolarmi.
Arrivo nel parcheggio. Soffia la Bora su Venezia e l'Adriatico e l'entroterra lo fa notare. Per quanto siano spessi i nostri vestiti l'aria penetra tra le pieghe della tela e lambisce la carne. Il mezzo è lì, la neve comincia ad ammassarsi sulla sua opaca superficie. Ma si vede. Una Mercedes 220D(iesel), con i fari verticali. Lo so. Lo so. Quando la porterò a casa dovrò trovare un posto per farla albergare. Lo so. Quando mi vedranno arrivare con questa "cosa" dovrò essere pronto a sentirne di tutti i colori. Lo so. Sento che non sbaglio mentre non sbaglio.



In effetti...
Io non volevo proprio lei. Volevo un'altra. Più giovane, più affusolata, più veloce. Insomma: più. 
Ma il fato volle che io trovassi lei; e che lei trovasse me. Ed eravamo lì. Lei, abbandonata, rischiava una fine ingloriosa. Tutto fu abbastanza chiaro...


Pronto per il prossimo tour.

domenica 22 settembre 2013

A Torino c'è il mio nome...

Parto.




Destinazione Torino. Non in lambretta, ma sempre su un ferro: treno.
Mia madre decide che deve partire con dieci minuti di anticipo rispetto a quanto le ho detto. È ansiosa e decido che va bene il suo orario, imposto o meno che sia; mi deve portare lei alla stazione. Non ho molta scelta. Guida male, ma va piano.
Mattinata fredda, anzi fresca, aria tersa; meta del viaggio: Torino. Perché? Facile, semplice, lineare: una foto del mio viaggio estivo è esposta in una mostra fotografica della "Visual", scuola di fotografia di Torino.

Origine: "Appunti di viaggio"
[...]La mostra curata da Davide Giglio presenta le migliori immagini realizzate sul tema del VIAGGIO e sulle sue infinite declinazioni in occasione del concorso fotografico Appunti di Viaggio organizzato dalla Scuola di Fotografia di Torino VISUAL con la Casa del Quartiere di San Salvario e i Bagni Municipali e grazie al contributo di Colorlife, il Laboratorio Stampa Axtra Digital Art e la libreria Diari di Viaggio [...]




Tra le foto in mostra, una è mia. Ho partecipato per caso, per curiosità e perché non potevo non partecipare. E ora viaggio da falso artista verso un luogo che non conosco e che non mi conosce; ricambiamo insomma la non-conoscenza reciproca, e ci stimiamo a vicenda, io ed il luogo che ospita una parte di me. 



Treno regionale, carico di acredine sudoripara, di acne, ormoni poveri e gioventù studentesca. Mi adeguo, sono solo pochi minuti. Ma bastano. Scendendo dal biscione di metallo e tela una ragazza mi urta. L'amica che la accompagna fedelmente le fa notare che ha urtato "il signore". Dico: "Pazienza per l'urto, ma signore no". Ridiamo in compagnia per dieci secondi ed ognuno è libero di andar per la propria via. La mia è breve, arriva al bar e si spegne al tavolo davanti a caffè e brioche. Alla marmellata. Di mirtilli! Provo un senso di pace per qualche attimo, breve. Soggiunge l'ilarità quando vedo il mio vicino di tavolo fare colazione da solo: doppia dose di te, caldo, in due teiere da mezzo litro. "Non avrà problemi di diuresi per la giornata", penso, rido un poco per la scena poco usuale per me.
Decido che avrò sete durante il viaggio e cerco una bottiglia d'acqua per potermi abbeverare in seguito. La compero e volo verso il treno. Torino mi attende. Devo andarmi a vedere in mostra.
Salgo in treno e trovo una stupenda accoglienza da parte dei miei due compagni, scelti a caso per me da trenitalia. Una donna, maestra di fitospagirya - e va a saper che scienza è questa; e poi: si scrive così?- parla. Parla. Parla. Troppo. Parla.
Parla di corna, di amore e sesso -poco sesso in verità-, di mariti e uomini, di posizioni - etiche- di donne. La squarterei già dopo due minuti, gettando volentieri il suo corpo agli squali. Non ho gli strumenti adatti, mancano gli squali giusti e soprattutto sono blindato in treno. Me ne libero a Milano. È scesa probabilmente ad infastidire qualcun'altro; di certo ci riuscirà. Lo so.
Intanto Il servizio di trenitalia è ottimo, affidato ai falsi muti che fanno l'elemosina.
L'altro compagno è più mite, più modesto forse negli usi, nei costumi e nei modi. Si occupa di sicurezza sul lavoro - credo. Legge un giornale di settore e l'articolo su cui è aperto il giornale è così intitolato: "processi e sistemi: cadute dall'alto".
Poche chiacchiere e molto stomaco: ha una smisurata protuberanza addominale che gli impedisce di leggere il giornale da troppo vicino. La vista è probabilmente in equilibrio col suo fisico: non fa uso di occhiali...
Scaricati i due compagnoni di viaggio proseguo, solo in carrozza, verso la meta. Telefonobrigosistemopensoscrivo e... Vorrei dormire. Ma ogni cinque minuti ricevo una telefonata. Colpa mia. In lambretta non sentivo le chiamate, era perfetto. Ed ero giustificato. Medito di abbandonare il telefono in un cestino del treno e di cambiar vita. Ma rinuncio subito al mio proposito: sono arrivato a Torino. Scendo con un sol piede. Appoggio bene, mi guardo attorno e sospiro. Anche la città sabauda è conquistata.
Mi avvio deciso verso l'uscita che ovviamente non è quella giusta. Ne imbocco altre due prima di trovare la via maestra verso la mia mostra. Mi fermo a mangiar qualcosa in un bar all'angolo di un crocicchio. Bevo un bicchiere di un frizzante rosso locale decisamente buono, ironico, amaro, brillante. Mentre consumo un pan con frittata decido che è meglio non perder l'occasione per ordinarne un altro. Accompagnato da un piccolo toast di periferia. La giornata è bella, e anche i brutti ceffi che dominano e frequentano la zona sembrano felici, tutti: neri, bianchi e rossi. Il sorriso li accomuna. Anche la polizia locale sembra felice: con le multe di oggi - metà dei mezzi è in divieto di sosta- potranno acquistare delle nuove palette e dei performanti autovelox...
Mi alzo, pago e mi dirigo verso la meta designata. Lì ho appuntamento con il curatore della mostra che ha piacere di fare la mia conoscenza.







Passeggio egregiamente per Torino, trovo la via giusta ed il numero giusto, ma mi ritrovo davanti ad un cancello di ferro alto ed imponente. Ma soprattutto chiuso. Eppure. Eppure... È qui. Infatti ho solo sbagliato di qualche metro e poco più in là vedo l'entrata del numero 14 di via Morgari. Lì mi aspetto. So di trovare un po' di me stesso. Entro, senza far caso al bancone, alla gente, al cibo; al locale - che è più bar fine per artisti e filosofi di varia natura che una asettica stanza da esposizione artistica; cerco la mia foto e me stesso. E trovo. Piccola ma significativa, per me che di fotografia non ho minima nozione non nego che l'emozione è stata forte. In una sorta di metafotografia immortalo la mia sensazione, subito. Immediatamente.
Educatamente ritorno al banco e ordino un caffè ed un pezzo di torta, leggo la lavagna dei prezzi e vedo una cosa curiosa. Risponde al nome di "Agricolo" e soggiorna sotto la dicitura cocktail. Sono curioso... Ma...




Ciò nonostante mi introduco nella stanza, rimiro la mia opera e proseguo soddisfatto all'esterno. Sono orgoglioso. E non avrei mai pensato di trovarmi in tal posto. Mai.
Sorseggio il caffè e gusto la buona crostata. Osservo la parte esterna della mostra e vedo delle cose di mirabil bellezza. Una esposizione fotografica da degustare.

Curioso. Sono curioso. Lo so. E voglio sapere cosa bevono gli "agricoli" di Torino. Il nome di quel cocktail mi rimbalza impavido nella testa. Lo devo ordinare. Devo scoprire cosa si nasconde sotto all'agricolo. E così ho fatto.
E ho scoperto che si tratta di una cosa non ortodossa per un torinese, meno ancora per un agricolo. Si tratta di Calua e Rum con fetta d'arancia ricoperta di zucchero di canna. A saperlo avrei scelto diversamente, ma sono avviato oramai e devo procedere.
E da manuale funziona così: prima si incamera in bocca il bicchiere di Calua, poi quello di Rum. Si mescola in bocca e subito si addenta la fetta d'arancia. Pensavo a qualcosa di più spartano per la verità ma tant'è. Buono e poco educato, ma efficace, quello non si può negare.




Nel frattempo ascolto le conversazioni varie che si tengono nel locale, da: "A me la relazione aperta mi fa cagare", pronunciata da una gentil signorina alla mia sinistra, a:
"Questo capitalismo ci ha davvero rotto il cazzo". La cosa più interessante di questa ultima affermazione è che viene pronunciata da un ragazzo sulla trentina avanzata, molto filosofia e poca pratica che vaga per Torino e per l'intero globo con Mac e iPhone. Un sinistroide convinto, nella sua incoerenza...




Rimango in attesa, osservando l'ambiente che mi circonda: famiglie, studenti, bambini, artistoidi. Tutto molto bello ed equilibrato. Attendo.
Deve arrivare il curatore della mostra, Davide il suo nome.
Lo vedo entrare, ci conosciamo e discutiamo per cinque minuti, poco più. È accompagnato da una donna che passa con eleganza i cinquanta. E che capisco avere occhio e propensione per le cose belle e di un certo valore. Il breve congedo mi permette di accordarmi per la spedizione della mia opera a casa, gratuitamente. Davide è gentile. E io, finto artista fotovisivo, accetto con gioia la sua non onerosa offerta. Imparo la parte, so come comportarmi oramai. Ci salutiamo e lui si eclissa ringraziando per la mia visita dietro una porta di sicurezza, verso destinazione a me ignota. Rimango nel locale. Ho un altro appuntamento: attendo Bianca, una artista burlesque che ho conosciuto qualche tempo fa in uno spettacolo a Padova. Ero parte dell'organizzazione, diciamo il cinquanta per cento, poichè ad organizzare eravamo in due... Lei è di Torino, temporaneamente una indigena; solitamente apolide. Abita vicino alla mostra, vicino alla casa del quartiere, il locale che ora mi ospita. La vedo entrare, tatuata, sorridente ed immagino di capello fulvo, ne ho conferma solo dopo. Chiacchieriamo un po', ci facciamo compagnia con cappuccino e Barbera; parliamo di spettacoli e di lavoro, vite e impressioni, possibilità e storie. Ma il tempo corre, le mie quattro ore nella città torinese volgono al termine; il treno mi attende e lo devo quasi rincorrere. Mi congedo da Bianca, dalla mia opera, da Torino. Corro verso la stazione ed ordino un orzo prima che il mio treno parta, in verità prima che venga addirittura annunciato il binario che ospita la "freccia" alla volta di Venezia. Che poi tanto freccia non è, diciamolo.
Salgo, trovo il mio posto che mi permetto di snobbare in virtù di un vuoto posto, vicino e comodo, almeno fino a Milano quando sono costretto allo spostamento forzato vicino ad una donna che emana un afrore consistente. Spero, spero, e spero. Spero che scenda prima di me. Alla fine addestro il mio naso a quell'odore fino a Padova. Scendo finalmente prima di lei, alle 21.22. Il suo idioma napoletano non mi poteva certo fare sperare una veloce corsa da Milano a Brescia. Ma sperar non costava nulla mentre annotavo le mie avventure giornaliere su questo foglio.
A Padova mi attende Enrico. Lesto mi trasporta in birreria. Ci raggiunge Gio. Gli Enkel Vag sono al completo; stasera non si prova, si fa festa, si fa tardi. Ancora qualche povera ora da artista prima di consegnarmi per qualche ora a Morfeo.



lunedì 26 agosto 2013

Anush: via etere dalla terra del cioccolato e degli orologi.

Lunedì. Sempre lunedì. Le coincidenze della vita... Un lunedì qualunque, d'agosto, di sette giorni fa; una mail: firmata Anush. Mi arrovello per qualche secondo, la pelle sulla fronte mostra qualche grinza... Sospiro leggermente. E penso: "Anush? Ma che è sta roba...? Anush... Anush...? Ma chi cazzo è Anush?".
Apro, vorrei che la mail fosse foriera di buona novella, ma temo le solite pseudofrodi via etere.
Ovviamente... Mi sbaglio!
Anush?! Ma si! È lui! Ecco chi è ANUSH! Certo! Lo svizzero, tedesco di madre e iraniano di padre! Lo svizzero, quello che ho conosciuto a Varese ligure, innamorato della sua famiglia, della moglie e della mia Lambretta! Anush dai mille cuori, che ama il vino, l'Italia e lo stile che la nostra penisola veicolava cinquant'anni fa! Grande Anush! Mi ha scritto davvero! Non lo avrei mai creduto... Ma gli svizzeri sono di parola, anche se arrivano dal resto del globo, anche se non sanno bene di chi sentirsi figli. Comunque: gli svizzeri sono svizzeri; e immagino quest'uomo, accozzaglia di razze, arrivare nel suo ufficio il lunedì mattina e pensare che, in fin dei conti, una Lambretta è un oggetto da collezione, da possedere. Lo vedo pensare che, in fin dei conti, quest'anno l'Italia gli ha riservato una vacanza economica e con ciò che non ha speso, forse, una Lambretta ci può anche scappare. Lo vedo controllare nel portafogli e tirar fuori il mio indirizzo per chiedermi come sto, per dirmi che si è divertito in mia compagnia, per informarsi se io, per caso, gli potessi recuperare una lambretta... Come la mia, di cui si è innamorato!
Anush! Caro Anush! Ma certo, Claude lo può fare! Ovvio: al giusto prezzo... E dallo scorso lunedì sono a caccia...

lunedì 19 agosto 2013

E... Chi recupera il credito adesso? Io!

Si avvia una bobina nel cinematografo della mia testa.
Sette agosto 2013.
Strada provinciale verso Firenze. Devo fare miscela, potrei fare a meno, ma non so dove e se troverò un distributore. Non rischio, alla prima pompa mi fermo. Controllo il livello di miscela nel serbatoio con un'asta graduata, autocostruita: per esser chiari, una fascetta per elettricisti bianca. Dovremmo esserci, dieci euro ci stanno. Preparo l'olio per poco meno di sei litri, meglio abbondare. Inserisco la banconota. Non funziona. Inserisco ancora. Nulla da fare. Cambio banconota da dieci e questa volta il sistema si mette in azione. Butto l'olio e comincio ad erogare benzina... Ma...
La matematica non è il mio forte o l'astina mi tradisce. Dieci euro sono troppi, ce ne stanno solo novevirgolaottantacinque. 15 centesimi sono rimasti al distributore. 
Li devo recuperare...


sabato 17 agosto 2013

Cieli azzurri sulla Terra.

Ore 7.33.
Sveglia. Sveglio. Devo riposare, ma non posso. Passo inesorabilmente per il bagno, mi guardo allo specchio. Dolore. La serata di ferragosto è stata impegnativa, ma tutto sommato non esagerata alcolicamente parlando...
Mi tuffo in mezzo ai miei cenci, recupero qualcosa, lo indosso. Una accozzaglia di colori mi invade gli occhi e la carne. Non importa, vado lo stesso. Porto fuori il mio ferraccio, oggi sarà una giornata campale. Destinazione: Treporti, 80 km da casa; una scampagnata. Obbiettivo: recuperare un amico. Faccio il pieno. Lego il casco per il mio ospite lagunare. Ripenso al fatto che mi devo forzatamente svegliare, decido di farmi una doccia. Fuori c'è il sole, ma l'aria non è calda, non è quella della scorsa settimana. Poco più sveglio di prima e rivestito di poco cotone colorato, parto. Mi fermo dopo 100 metri per indossare una felpa... Fa fresco, troppo; è quasi freddo. Ed il cielo è azzuro.


Riparto. Ma non prendo istantanee durante il percorso. Vado con calma. La strada fino a Portegrandi è noiosa. L'ultima parte, quella che costeggia il Sile, verso la laguna, è la più bella: curve, vista fiume, profumo di mare e acqua salmastra... Vado, liscio, senza ghiaccio, tanto già è fresco fuori. Corro, tutto è regolare, fino a Portegrandi. Poi, inesorabilmente... Coda! C.O.D.A. Tutti in coda, uno dietro l'altro, di tutte le razze, ordinati, agognanti un lembo di sabbia vicino all'acqua. Ma io... Sono in Lambretta ed agevolmente passo, sorpasso, senza freccia e senza luce, e vado verso Cavallino-Treporti per recuperare 130kg abbondanti di uomo con lo zaino. Arrivare non è stato gravoso, apparte i cinque chilometri di coda europea. Facciamo colazione, tanto per rinfrancarci ed appesantirci un po'. E mi rendo conto che la cosa più difficile di oggi sarà tornare, tutti e tre, sani, almeno quanto alla partenza, da quest'ultimo angolo di terra che da est guarda Venezia e la sua laguna non sempre limpida.
Saliamo. Casco e zaini. Il mio nobile destriero ha un sussulto, ma con sacra finezza il mio amico pianta gli speroni sul costato della bestia e da lì non si muoverà più se non per una sosta spritz a metà strada. Più che lo spritz, si tratta di far arrivare a casa in condizioni dignitose il motore della terza serie azzurra Iseo che cavalchiamo. Già infatti un ignoto, fino ad ora, rumore di ferraglia si fa ben notare sotto i cofani.
Con la leggerezza di chi sa il fatto proprio saliamo, entrambi, dopo la posta all'osteria.
Tra curve e ponti su fiumi di pianura, sterminate distese di "formenton", qualche risata e qualche preoccupazione per il rumore, sempre più insistente proveniente dal cilindro/motore, arriviamo nelle desolate lande dell'alta padovana, dimora delle nostre famiglie. Quasi 170 km, 200 kg di carico, un serbatoio di miscela consumato, e tanta fede nel ferro e nell'alluminio.
Fu così, signori, che i due uomini, uniti dal fato, arrivarono a destinazione. Un piccolo tour: più che altro, un test di resistenza.


martedì 13 agosto 2013

Proseliti da Ovest.

Fu così che mi vennero a fare visita da lontano... ovvero da Piacenza.
Non è un caso però... Il mio viaggio deve aver suscitato un qualche interesse.
Ore 15.34, piazza di un borgo una volta murato. Appuntamento per fare quattro chiacchiere. Jack mi ha aiutato ad organizzare il viaggio, senza di lui la strada che dalla Longobardia si dipana verso la pacifica Liguria sarebbe stata nebulosa; lui, la sua donna ed il fido Baloo si sono mossi per venire a me, dopo essere passati, in pellegrinaggio festivo, per Verona ed altre amene città venete. Alcuni spritz, com'è duopo d'altra parte, aneddoti di viaggio, racconti avventurosi e storie di artisti del motore. Bel pomeriggio, piacevole e caldo. Alcune idee ed un proposito: verso Mantova. Ce la possiamo fare.


lunedì 12 agosto 2013

Lunedì. E quindi...

E quindi è lunedì.
Tornato venerdì.
Sabato riposo.
Domenica di decompressione.
Più di 1300 chilometri in solitaria, città, paesi, distributori di benzina, letti e cibi prelibati. Restano le impressioni, i segni dei guanti sulle mani, le valigie da vuotare.
I paessaggi, i colori, quelli che posso vedere ma anche quelli che perdo; le persone che ho incontrato e a cui ho parlato; quanti mi hanno aiutato e quanti mi hanno chiesto come stavo, dov'ero, in questa mia sorta di vagabondo nomadismo solitario. Molti a cui ho raccontato il mio viaggio, la mia avventura, mi invidiano: dicono che avrebbero voluto essere con me. Ma non sarebbe stata la stessa cosa, non sarebbe potuto essere lo stesso.



Vedo le foto. Il ricordo, della strada, degli odori, dell'aria e del sole, non mi abbandona. Quelle immagini parlano, profumano, scaldano, sudano.
Guardo i polpastrelli: ho ancora gli insignificanti segni dell'olio per la miscela, unto, vecchio, trasudato dal tappo del serbatoio. Ricordo la resistente cinghia arancio, sopravissuta al viaggio.



Ho stretto i bulloni sulla targa e recuperato quelli persi dalla parte inferiore del portapacchi. Sistemato il porta ruota artigianale. Cambiato la lampada anteriore, della quale era restato un solo filamento.
Ho voglia di ripartire e potrei farlo, tra qualche giorno. La stagione lo permette di certo... Ma non prima di venerdì tuttavia, ho una missione da compiere: recuperare il mio amico Barujo nella laguna veneta.  Arriverà in canoa e ha bisogno di uno strappo verso casa. Volontariamente mi sono offerto per la causa. Quasi due ore di viaggio per il recupero, e altrettante per portarlo in salvo: 150 chilometri circa, una piccola giornata in tour.



Il viaggio già mi manca... Vedrò cosa mi riserverà la sorte. Il caso non esite...


sabato 10 agosto 2013

On the road: Firenze, Barbiana, Budrio, Ferrara, Padova. One Shot. Con stile.






Sveglia umana. Giorno successivo.
Stessa ora. Le due donne. Anzi, solo una oggi forse, non ne son sicuro, la mia aura si deve esser dimezzata in potenza... Mi sveglio con la stessa modalità di ieri.
È un vizio che ho da due giorni... Asciugamano. Scatto in bagno, mi rendo relativamente presentabile, o meglio, faccio quanto posso.
Ma. Doveva piovere e guardo fuori: c'è il sole! Neanche una nuvola, non minacciosa almeno, ma solo piccoli e innocenti agglomerati bianchi a colorar il cielo. Ho detto che non volevo pioggia? Certo!
Faccio colazione con la truppa, in fondo, come al solito o meglio, come da due giorni a questa parte; zona maschi. Li sento confabulare, già al mattino vogliono fare qualcosa di mitico per la notte. Non li contraddico, uso la psicologia inversa: "Su ragazzi, dai! Un bel falò, con la fiamma ossidrica! Oppure... Dei petardi nelle camere degli animatori, che spettacolo, ci pensate? Dai ragazzi, se la dovete fare, fatela grossa... ". Ridono per cose che mai faranno...
Finisco il liquido zuccherato nella tazza, i ragazzi sono troppo gentili, mi trattano troppo bene, come un ospite. Ma io mi sento uno di loro e decido di andarmene il mattino stesso. Mi consulto con Barujo, ho la sua approvazione, ringrazio e saluto i ragazzi, la animatrici, lo stabile. Carico le valigie e parto.
Metto in moto e mi accomodo sulla pelle della sella. 9.30. Direzione Padova.
Ho in mente solo una sosta, se il tempo lo permette. Ma si vede: il sole è generoso e l'aria non è caldissima. Si può fare. Esco da Firenze senza grandi difficoltà, direzione SS65, Bologna.




Mi fermo a fare colazione in un paese tra la colline. Un paese di cui non ricordo il nome. Uno di quei paesi che sopravvive grazie alle pensioni dei più o meno - ma soprattutto meno - giovani abitanti. E si vede... Parcheggio senza indugio, mi guardo attorno e noto che, nella piccola piazza, ci sono tre rivendite di piante e fiori, una vicina all'altra. Mi chiedo come ciò sia possibile: il cimitero sarà vicino, certo, lo vedo, ma dovrà pur essere colmo per assorbire tutti quei petali attaccati ad un gambo! Capisco anche che la tendenza al riempimento è in rapida ascesa appena saliti gli scalini per accedere al bar.
Entro nel locale ed ordino orzo e brioche. Mi servo da solo, mi porto al tavolo il tutto, mi siedo e consumo la mia seconda colazione. Ne avevo proprio bisogno. Davanti a me la strada. Alla mia sinistra gli strilloni dei giornali tra i quali uno in particolare carpisce la mia attenzione. Cerco di leggere il testo, di decifrarne la lingua... le parole usate appartengono al vernacolo italiano. Non sono lontano dal titolo del giornale: Il Vernacoliere, in dialetto toscano ed in italiano. Sorrido. I toscani sono proprio grandi. Pagando il conto decido di chiedere di quella pubblicazione. Esaurita.
Pago lo spuntino mattutino e decido che io devo avere quell'ameno libercolo. Scendo gli scalini che portano alla piazza fiorita e scateno il mezzo. Proposito: mi fermerò alla prossima edicola e troverò quanto cerco. Così è. Mi fermo, chiedo, trovo, compro e riparto. Strada in salita, la Lambretta non è scattante come prima, forse l'altura la soffoca, l'ossigeno le manca. Non è stress. Rimedierò con della buona miscela, di marca. Qualche litro dovrebbe bastare. Se non dovesse bastare la rivisiterò, d'altra parte, sono dottore...
Corro. Seguo per Bologna, passando Montorsoli, giro ad uno svincolo, indicazioni per Vicchio. E sulla strada un insignificante indicazione: Barbiana. Quella è la mia meta.
















Salgo la strada che porta al paese. È ripida, tortuosa, tornanti in prima, salite in seconda. L'asfalto è ruvido, malfatto, rovinato dal tempo e dalla natura, pieno di ghiaino verso i bordi. Proseguo con mezza lacrima che mi riga il viso, sono felice, non pensavo sarei arrivato veramente fino a qui. Anzi. L'ho sempre pensato, ma forse non sono mai stato serio... So dove sto andando.
Vedo la mia meta, conosco un po' la strada, ho dei ricordi ancora abbastanza nitidi. Sorrido sotto la visiera. Proseguo sull'asfalto, alla mia sinistra lascio la strada sterrata che non ho mai fatto, neanche 15 anni fa, neanche a piedi. Forse non c'era. O forse c'era e nessuno ancora lo sapeva. Territorio ripido, tortuoso, via stretta. Eppure qualcuno in passato già l'ha percorsa, con una Lambretta, in esilio. Ce la avrei fatta pure io.
Trovo degli scout, in cammino. Li saluto, com'è costume tra di noi; come loro anche io ero qui molto tempo fa. Gesticolano animatamente al mio passaggio, sento una parola nel vento: "GRANDEee!". Rispondo: "Grazie ragazzi!"
Gli ultimi metri mi spaventano: la strada è bianca, in ripida discesa. Torno indietro, ricontrollo i cartelli: si, corretto, di là. Torno all'imbocco della strada mai asfaltata. Chiedo consiglio all'unica persona che vedo. Sale con un fuoristrada e mi dice che in Lambretta la via è percorribile, anche al ritorno. Vado. E tutto va bene. Arrivo al piazzale, davanti la chiesa di Sant'Andrea. Tolgo il casco, i guanti, mi guardo attorno, guardo in alto: altri scout. Spengo il motore. Saluto a modo. Sono arrivato.
Barbiana ha solo turisti, non abitanti.











Volevo respirare quest'aria. Va a capire perché. Ci venni molto tempo fa, mi infortunai, ad un ginocchio, e non riuscii a fare la strada con i miei amici.
Qui venne in esilio - non volontario - un religioso che negli anni '60 inventò una scuola. Ma non solo una scuola. Un metodo. Non sono particolarmente religioso, non osservo tutte le festività, impreco anche spesso in alcuni momenti. Ma qui non si tratta di religiosità ma di esseri umani, di uomini. Apprezzo e stimo chi difende dei principi e si dedica a loro, chi aderisce con le parole al pensiero a costo di sacrificio. E Lorenzo era un dritto, tunica o meno, non è importante.
Mi soffermo a pensare. A guardare la piscina degli anni '60, creata vicino all'unica struttura nei paraggi: un mare per chi ci si tuffava.
E penso che le piccole cose vanno accudite, che dopo tutto i miei problemi non sono gran cosa e che le innovazioni, le rivoluzioni, partono da poco. Dalla convinzione di una persona. Mi basta così.









Trovo un manipolo di persone, in una stanza. Scambio due chiacchiere con uno di loro. Vengono in bicicletta, da lontano. Da Padova. Di tutto il mondo, ritrovo Padova a Barbiana, un borgo che borgo non ha e borgo non è, abbarbicato sulle montagne, ricordato solo per "Lettere ad una professoressa" ed i suoi autori.
Chiacchiero ancora, scopro la passione dell'uomo con cui parlo per la moto. Mi indica alcuni itinerari che mi annoto. Altri tour in solitaria da preparare, penso; va tutto bene.
Dall'interno della stanza una ragazza dagli occhi pinti mi osserva. Scambio fulmineo di sguardi. Capisco. Da fuori sento le parole di spiegazione sulla scuola, sul metodo.
Mi allontano e visito un po' i dintorni, ricordo quasi tutto; un cavallo si aggira per il sagrato e la zona vicina alla ex canonica. Non ne avevo mai visto uno allo stato brado, senza briglia, senza steccato, libero.











Saluto e vado. Temo la strada bianca e la drastica salita finale. Leggero come una farfalla salgo. Appoggio un piede e tutto va bene. Mi ritrovo sull'asfalto e scendo molto lentamente. Torno verso Bologna, la strada strada statale è a pochi chilometri. Accelero e vado, verso Padova penso, forse. Sono le tredici passate. Tra poco avrò fame.





Barberino del Mugello.
Vedo il lago Bilancino. Non so dove cada l'accento tonico. Località Le Maschere.
Ore 13.30, circa. Mi fermo su un locale. Una vineria con ristorante. Parcheggio. Il posto è deserto, vuoto. Una gentile e premurosa cameriera mi chiede se voglio mangiare. "Se fosse possibile si". Ho fame... E già intuisco che non sarà il pranzo più economico che abbia mai fatto, ma non mi preoccupo, voglio mangiar bene e so che in Toscana si può.
Dopo di me arrivano più di dieci persone, alla spicciolata.
Ordino una tagliata, con del Morellino e chiedo di poter caricare il telefono. La cameriera con grazia mi accompagna alla presa di corrente dove abbandono il telefono per un'ora circa.
Ottima tagliata e ottimo vino, accompagnati dai sorrisi della cameriera che si preoccupa anche di farmi notare che la sella della Lambretta è al sole. Le dico di non preoccuparsi, che a breve sarò a casa e le comodità non mi mancheranno.
Mi viene proposto del dolce. Tiramisù della casa, senza dubbio, che la cameriera prepara personalmente, dicendomi di aver avuto cura anche di farsi "scivolare" la mano con la quantità. Cosa che mi fa piacere. Anche perché il dolce è buono davvero! Caffè e conto. Per sicurezza chiedo, alla persona che oramai mi aveva servito per tutto il pranzo, che vino mi avesse portato. Sottovoce mi risponde, e dice anche la cantina che lo rivende e la località in cui trovarla. La cantina - non lei, la cameriera.
Annoto tutto, ringrazio per la premura, saluto gentilmente e scaldo il ferro. Salgo.







Salgo.
Salgo.
Salgo.
Leggo: passo della futa. Che non sono sicuro dovessi fare, nei miei programmi. Ma tant'è, verso nord mi porta...
All'altezza di Monterenzio faccio una sosta. Birretta. Ordino ad una cameriera svampita e attendo fuori. Odo i vecchi ed accaniti giocatori di carte azzuffarsi per dieci punti, le bestemmie roteano nell'aria. Mi sento a casa. Quasi.
Consumo e pago. La cameriera si è svampita e ulteriormente. È giovane ma stordita.
Esco da quel postaccio, ascolto le ultime bestemmie e parto. Una fasulla ragazza-a-bestia si siede sulla sedia di mia pertinenza fino a qualche minuto prima. Mi osserva per tutto il tempo finché mi abbiglio e mi assesto il casco, ogni tanto distoglie lo sguardo. Rubo una foto.
Trovo sulla mia strada un muletto che sbanda in modo periglioso. Immagino il proprietario provenga da un'osteria. Sorrido, rido.


















Pedalo e corro. Vado, veloce. Corro. Durante il percorso mi sovviene alla mente che Budrio potrebbe essere la meta successiva. Budrio? Perché? Perché è la patria della mia Lambretta! E lì sta il proprietario! Spalanco. Il paesaggio è bello. Incantevole. Giallo.
Passo Bologna, la lascio a lato. Arrivo a Budrio e ho solo un nome. Non una via, non un telefono. Cerco invano nell'elenco del telefono online. Nulla... Idea: fermo dei passanti, chiedo se conoscono la persona che cerco. Tutti dicono: "ma in che via si trova?". Grazie, se lo sapessi sarei già lì.
Desisto. È l'imbrunire.






Punto su Ferrara, il mio meccanico di fiducia ed amico finisce alle 19.00 di lavorare, vorrei salutarlo. Ci troviamo in un parcheggio davanti ad un supermercato. Scambiano un'ora di chiacchiere. È tardi e miro Padova, non senza prima aver abbeverato al due per cento il destriero. Lascio le minacciose nuvole di lato. Corro, inseguo una moto che mi ha sorpassato appena fuori Ferrara per un bel po': Davide contro Golia. Golia vince: sono senza faro anabbagliante, l'abbagliante illumina la via in lontananza, non le buche vicine. Ma Padova è prossima. E le nuvole nere anche. Presto sono a Monselice, Battaglia Terme, Padova. Tangenziale, di corsa! Col pensiero ho già ordinato uno spritz, con qualche messaggio riunisco gli amici al bar per fare festa!








Entro in riserva a dieci chilometri da casa. Avevo calcolato di poterci arrivare senza soste, e ci arriverei; ma non rischio e mi fermo. Sosta veloce, con un marocchino che mi chiede se ho dell'acqua per la sua macchina in difficoltà e già col cofano aperto.
Salgo in sella, in cinque minuti scarsi sono al bar. Scendo. Non una goccia d'acqua dal cielo, e poca nei liquidi che trangugio. Racconto le mie avventure, fino a mezzanotte, quando comincia a piovere. Mi bagno per due minuti, leggermente, appena appena, tanto per gradire, prima di tornare a casa e sentire il diluvio scatenarsi fuori.
Apro la porta. La mia scrivania mi attende, regolare, tutto regolare. Tutto come l'avevo lasciato... Ma io sono più ricco.
Stanco morto mi dirigo, volontariamente questa volta, sotto l'acqua - calda; doccia. La purificazione.