sabato 1 agosto 2015

On the road. 31 luglio. Non si sorge mai a caso.


Sorgo anche io stamattina, come sorgono le città, il sole e le cose belle... Ma non Sorgo dal nulla, nemmeno io. Sorgo da un letto, di non so chi...
E Sorgo, presto e un po' nuvoloso. Il collo pesante. Vorrei rimanere a letto. Ma mi dovrò pur muovere da qui. È bello essere sopra le radici di una città, ma è pur intelligente capire che da qui ci si deve spostare. Ho un accordo con la risoluta signora, proprietaria del BeB: colazione quando voglio, tanto è a buffet, e ritrovo alle 10.30 circa per la mia partenza. Ha la mia celeste saetta nel suo garage... Lì. In ostaggio. La deve liberare lei. Una volta sveglio decido. Me ne frego della signora, mi alzo e vado a fare colazione con Giacomo. Si. Il dado è tratto, ed informo Giacomo della cosa. In 10 minuti sono quasi pronto. Fortunatamente non mi devo truccare e non devo controllare di che colore sono le scarpe per abbinarle alla borsa. Pantaloni e maglietta, calzini e scarpe incollate. E giù in ascensore! Attendendo controllo un po' cosa succede in galleria San Francesco. E beh, direi... Un po' di tutto. Chi chiede l'elemosina seduta in un angolo, chi si dirige al bar o in farmacia, chi porta direttamente il caffè dal bar alla farmacia, chi alla OVS fa shopping... E qui ho una mezza illuminazione, notando che il piano terra del negozio, quello più visibile al pubblico - poiché esposto su due lati a favore di strada- ed il più visitato, è popolato solo ed esclusivamente di figure femminili. La riflessione è: "ma quanto fanno girare l'economia le donne?". Non mi rispondo. Evito. E decido di indagare l'altro lato della galleria, dove ha ingresso anche il mio BeB. Noto che le attività che hanno sede nello stabile, anche ai piani superiori al primo, sono molte e sorrido alla vista dell'insegna dell'agenzia "Eliana Monti: questioni di cuore". Sullo stesso piano, alla porta difronte, deve esserci stata la sede di uno studio legale... E ci sono commercialisti, parrucchieri... Non manca nulla. E finché non manca nulla - nemmeno la donna in camice blu che pulisce e sistema la vetrina della OVS - arriva Giacomo, ed andiamo al Dado a fare colazione. L'aria è fresca, la pioggia della notte ha pulito la città. Ci sediamo fuori, sotto ad un ombrellone bianco. Ci servono dopo aver ordinato. Ed è qui che il ragazzo indigeno nota una cosa all'interno del bar, davanti al bancone. Un esemplare di "femme fatal", vecchio modello, vestita di tutto punto con scarpe con tacco, luminose, gonna a strisce, cappello raffinato e sigaretta lunga e sottile; quella che dalle mie parti, molto volgarmente, verrebbe definitivamente appellata "sigaretta da puttane". Molto appariscente lei, di bianco e nero e argento lucido vestita, con la borsa all'avambraccio; una donna che negli anni ottanta era giovane, bella, una signora alla moda, alla quale non mancavano le sostanze per essere sempre al passo con i tempi, un po' eccentrica ma elegante, da salotto buono, da Piacenza "bene", non da sala d'aspetto di un ufficio pubblico provinciale o da coda maleodorante alle poste. Alla sua vista sorridiamo, scambiamo qualche battuta, e penso che la signora merita di essere annoverata tra le figure di oggi degne di nota. Complimenti signora, davvero. Mi ricorda qualche film ambientato nell'Italia di qualche anno fa. Mi ha strappato un sorriso d'altri tempi... Un sorriso un po' snob, ma sincero. Ringrazio per averla trovata sulla mia strada.
E sorridendo e chiacchierando la nostra colazione volge al termine. Torniamo in galleria, ed alla porta dello stabile del BeB trovo la proprietaria dell'attività. Saluto Giacomo e salgo. La donna nota che non ho ancora fatto colazione, così le spiego che piuttosto ho preferito farla col mio amico. Lei approva la mia scelta, mi fa capire, molto chiaramente, che devo saldare il conto, e ci diamo appuntamento verso le 11, il tempo per me di sistemare lo zaino, per lei di passare da uno studio medico a prender qualcosa. Intuendo le abitudini della signora capisco che mi devo sbrigare, anche perché ho solo 20 minuti di tempo per sistemare tutto, riassemblare lo zaino e passare lo spazzolino tra i denti. Sono lesto, faccio tutto prima che arrivi la donna che, con mio stupore, al rientro suona insistentemente il campanello. Ha infatti dimenticato le chiavi dell'appartamento all'interno e sperava che con il suo scampanellare ripetuto io potessi sentire ed aprire. Con molta spensieratezza sento suonare e apro. E lei, con molto sollievo, spinge ed entra. Carico in spalla il mio zaino, prendo la mia borsa, il casco. Scendiamo insieme in ascensore e andiamo al garage. Mi spiega, questa donna, che vorrebbe poter appendere la bicicletta da qualche parte in garage, perché, se la lasciasse appoggiata con le ruote al terreno, non ci starebbe più l'auto. Trovo con la signora una soluzione per appendere il suo biciclo alla parete. Lei sembra soddisfatta della cosa e mi ringrazia. In fin dei conti è una buona persona sotto quella scorza un po' ruvida... Ma bando alle cose di poco conto. Tiro fuori la mia giovenca inferocita dal garage, e via, alla conquista della pianura!
Uscire da Piacenza non è difficile. Più complicato è trovare la strada che voglio fare io. E quindi, acciocché tal cosa succeda, mi fermo spesso. Molto spesso. Spessissimo. E perdo molto tempo, una mia specialità oggi! La direzione è quella verso Parma, ma senza andare a Parma. Voglio stare più a nord, verso il Po. Ho la mia meta da raggiungere, che un po' è la destinazione di questo mio viaggiare vagabondo, senza pretese e senza ansie, alla ricerca di tutto e di niente, assieme a me stesso. Il percorso si snoda tra terre desolate e meretrici di varia razza e colore, strade lunghe e diritte delle quali non si vede la fine; tra piccole vie, tra paesi, ma soprattutto, paesetti. Passo in mezzo a tutti: Cortemaggiore, Busseto, Soragna, Frescarolo... Frustato dal vento ci metto una eternità. Forse un po' meno ma... Mi perdo in ogni centro. E ad un certo punto, ad un crocicchio, mi fermo. Una osteria. È l'una passata, ed è ora di far rifornimento. Voglio del buon vino rosso. Altro non mi interessa. Il locale sembra chiuso ma... È aperto, anche se chiuso. Proviamo. Parcheggio in via definitiva davanti al locale. Soffoco la mia fumante leonessa color dell'acqua cheta, e scendo. I segnali che il locale manda sono ambigui. C'è un mezzo parcheggiato davanti al locale, ma l'interno sembra buio. Decido che la vista non è sufficiente. Serve il tatto. Prendo la maniglia di quella che sembra la porta principale e... Tiro. Spingo. Agito. Non si apre. Sosto sotto il piccolo portico per dieci secondi, per capire dove poter leggere orari di apertura e chiusura ecc... Ma nulla. Sto per volgere il mio deretano altrove quando sento una chiave girare all'interno della serratura della porta che avevo minacciato qualche secondo prima. Si apre la porta ed un signore esce. Io mi scuso preventivamente per il disturbo, non volevo essere scortese ma non capivo se il locale fosse aperto o meno... Questo uomo, tipicamente padano, mi dice che è aperto anche se è chiuso. Io non pretendo altre spiegazioni. Un po' interdetto e con un punto interrogativo stampato in fronte che mi si leggeva anche da Parma, non faccio a tempo a pensare a quanto mi dice quell'uomo, disturbato e distratto dalle sue faccende, che mi ritrovo a dire: "si certo, faccia lei". E caspita. Io non so perché ho detto si. Perché l'ho fatto... L'offerta completa dell'oste era questa: "guardi, volentieri, se vuole, io le preparo un piatto di salumi assortiti". Una volta accortomi di aver asserito a tal proposta, decido di sedermi fuori. Arriva un ragazzo al tavolo per preparare il coperto. Non alto, capelli corto, scuro. Occhiali tondi, forse qualche segno di acne al volto. Molto professionale, in informale livrea scura, con la R moscia, come il topo della pubblicità del formaggio... Ecco. Si. Così.
Tovaglia di cartone grossa sponsorizzata da nota marca di yogurt, tovagliolo, posate, due bicchieri. Come se fossi un cliente normale, mi chiede cosa voglio da bere. Vino. Ovvio. Ne hanno alla spina, della casa. E va bene! Lambrusco? Certo! Ovvio! 

Parte II.

 Attendo ancora qualche minuto mentre mi guardo attorno e vedo dall'altra parte della strada una coppia di signori quasi anziani alle prese con cofano motore ed elementi di meccanica, su di una piccola Citroën. L'ho sempre detto io: "non fidarsi delle auto e dei motori francesi...".
E mentre mi gusto questa scena alla Benny Hill, ecco che si apre la porta del locale, quella che avevo cercato di forzare io prima per entrare, e... Al primo giro, vino e acqua. Ma al secondo, un piatto tondo, non grande, ma colmo di affettati! E caspita! Salame, culatello, pancetta, e altro. Un po' di pane e via. Alla spartana, alla selvaggia. E va bene così, con semplicità, senza far troppi problemi, senza fronzoli o preamboli! Che tanto poco ci vuole a volte...
Gusto i miei salumi ed il vino, tutto molto gustoso e salubre. Sulla strada non passa anima viva per mezz'ora. Ma poi un mezzo, piccolo, si ferma. Esce dalla lamiera lavorata una coppia di signori, dall'andatura tranquilla e serena. Entrano nel locale - facile adesso, vero? Lo avete trovato già aperto... - e siedono all'interno. Sento che il cameriere a loro propone cose. Cioè, cose che a me non sono state proposte. Lo so, io sono un po' selvatico, e si vede, ma quei signori si sono meritati un bel trattamento. Bravi, paciocconi che non siete altro!
Finisco le mie pietanze, decido che devo ripartire. Entro nel locale per corrispondere la cifra all'oste e sento profumo di fritto e di brace. Saldo, ed il cameriere dalla cucina mi saluta; contraccambio ed esco. Sciolgo la cavalla e via. Verso la pianura che costeggia il grande fiume. E se prima le strade erano tutte diritte e leste, ora si fanno tortuose e mosse, sembra quasi di essere sull'appennino, ma senza il sali e scendi tipico dell'altura. Posso così dare sfogo alla mia manza di razza, che, tra una sosta e l'altra per capir che direzione prendere, tratto e maltratto con molta poca cura. Ogni tanto ci vuole... Le strade si intersecano e continuo a perdermi nei centri dei piccoli paesi. Ma va bene, "a mete eccelse per anguste vie" recita Victor Hugo. Anche questo è vero. E la mia meta è vicina, non serve guardare la cartina. Ne sento l'odore nel paesaggio, si vedono gli scorci tipici della zona che costeggia il fiume da un lato e che si estende verso la grande pianura dall'altro. Qui le cose cominciano a parlare di tempi che non ci sono più...
Proseguo la mia corsa verso San Secondo, Coloro, Casale, e via diritto. Passo il confine tra provincia di Parma e Reggio Emilia. Ed ecco il primo cartello. Brescello, a sinistra, lungo l'argine. Eh già. Ho sempre pensato che prima o poi, un giro in questo centro lo avrei pur fatto. Un po' per la mitologia che permea l'atmosfera e la fama che questo paese ha acquisito, un po' perché comunque, non ho mai visto questa zona. E la mia curiosità è vorace. Lungo la strada già ci sono i segni di un passato un po' sterile. Molto è legato ai nomi di due personaggi: rassegne cinematografiche, incontri divulgativi sulla vita di Guareschi, insegne esplicative, e così via. Arrivando al paese un tabellone gigante ricorda, a chi non lo sapesse, che questo è il paese di Don Camillo e Peppone. Si, Brescello.
Seguo le indicazioni per il centro, passo strade strette ed ecco, la via che porta alla piazza. La prima cosa che mi viene in mente è che Brescello, allora, esiste davvero! Entro in paese, al minimo, a fil di gas, per non disturbare. Un sorriso sulle labbra: sapevo che ci sarei arrivato, che con calma, sarei arrivato anche qui. Lo sapevo, lo sapevo! Vado lento, osservo gli stabili ai lati della strada ed ecco, sono in piazza. È lei, rivisitata. Ma è proprio lei, il set a cielo aperto. Entro e parcheggio, e me ne frego dei divieti. Il caffè Don Camillo è il locale antistante la chiesa. Entro. Con un po' di delusione mi serve una ragazza cinese assieme ad una sbatilova dell'est. Va bene, non importa... Lambrusco per me, lo attendo fuori.
Architettonicamente la piazza è la stessa, ed anche il bar è rimasto dov'era. Se mi volto vedo ancora il "fratello" Don Camillo scendere dalla bici di corsa e menare un comunista! Che risate! E se guardo il frontale della chiesa vedo ancora il "compagno" Peppone che inveisce contro i preti ed il Vaticano. Si, vedo queste cose. Non in bianco e nero. E senza il pacifico ambiente che si respira e che trasuda da quelle pellicole. Ma tutto cambia, tutto passa e va. Brescello ora non ha molto della vita di quei film. Apparte i nomi - dall'altra parte della piazza c'è il caffè Peppone, che mi sembra anche più interessante di questo in cui mi son fermato - lo spirito contadino, mite, sincero, aspro e forte di quei tempi non c'è più. Brescello è un paese comune. Con la sua piazza, la sua chiesa, i suoi bar, i suoi immigrati, la gente che urla in dialetto ed in italiano... È un paese normale. Pieno di ricordi e normale. Bevo il secondo calice di Lambrusco. Il bar è vuoto. Decido di andare. Volto il mezzo è via. Lungo la via che conduce fuori dal paese vedo un bar. Lo avevo visto anche prima. Un signore anziano mi guarda, già da lontano. Con la mano mi saluta, la muove in maniera molto evidente. Sorride a tutta dentiera al mio passaggio. Lo vedo e ricambio il saluto. Mi chiedo se non ho sbagliato bar; se Brescello non avesse spostato il suo spirito genuino di una volta a qualche metro dalla piazza centrale. E. Probabilmente è così... Ma viro verso nord, verso Ostiglia. Il tempo è buono ma il vento è terribile, da quando sono partito stamattina il vento non mi ha mollato un attimo. Anche lui mi dice che non devo andare a casa, e soffia forte, in direzione contraria, perché io stia ancora via... E corro forte e veloce in quella strada tutta curve, sperando che un pollo non mi attraversi la strada. Rifornisco e via ancora, fermandomi poi in una strada desolata e dispersa in mezzo ai campi per mingere. Prima di Ostiglia ultima sosta, ho sete, ho le fauci aride. Stuzzichini e due calici di rosso; c'è da dire che comunque, consumo sempre meno della mia Lambretta! La cameriera è gentile davvero in questa gelateria, mista ad un bar/ristorante, e si preoccupa di farmi avere anche delle patatine. L'ultimo spuntino prima di puntare verso casa, passando tra Colli Euganei e Colli Berici, dove incontro un signore di mezza età, che in bicicletta attira la mia attenzione suonando il campanello. Mi saluta come fossi una celebrità, sorridendo forte e sbracciandosi. Gente veneta!
È già buio e vado veloce. Stasera sono esausto. 280 km di fila. Come al solito; one shot! Fino a casa. Riparo il mio destriero, anche questa volta ha fatto il suo sporco ed egregio dovere. Tanta strada in poco tempo quest'anno. Mi riprometto sempre di invertire questa tendenza, ma non ci riesco.
Prima di riparare la bestia un occhio cade al cielo, alla luna piena. Ringrazio chi mi ha ricordato questo spettacolo della natura.
Dopo la doccia purificatrice mi siedo e vedo tante cose, tante immagini, in fila alla rinfusa. Anche quest'anno è stato uno spettacolo. Non in goccio di pioggia minacciosa, non un problema, tutto è andato come doveva andare. Bene, bene, bene. Perché la mia buona stella è sempre lì e mi assiste. E non tramonta mai; diversamente da me ora, sfinito, esausto e contento. Crollo su un divano. Domani sarà un'altra alba... Come sempre.


venerdì 31 luglio 2015

On the road. 30 luglio. Perfettamente in tempo.

Non ho mai fatto così fatica per far tre passi. Neanche li avessi fatti a piedi...

La sveglia non serve. Inutile. Come tante altre cose che faccio. La metto più per scaramanzia che per altro. E quindi mi sveglio. Oggi sarà una giornata impegnativa. E va bene, la cosa non mi spaventa. Già sento la musica venir dalla cucina. La famiglia è già attiva, prima della mia attività ufficiale. Prima di alzarmi spedisco messaggio in Italia ed in Olanda. Il caldo fosse non aiuta le comunicazioni. Ma mi disinteresso subito alla cosa, mi viene naturale... Rito del bagno a parte, esco in cucina, sorridente. Le donne di famiglia sono in cucina; saluto e mi metto al banco della colazione, lo stesso della sera precedente. Uh. Che abbondanza di tutto. E che torta, fatta da Cristina! Una cosa esagerata! Al cioccolato, e la accompagno con caffè nero, caldo. Ah! Si. Che spensieratezza. Passo mezz'ora senza pensare e senza mangiare solo per rimanere lì, seduto, a guardare fuori della finestra. Noto delle nuvole... Ma non mi preoccupano, inutile pensarci ora, è solo metà mattina. Ed il tempo, in verità, è peggio di me, fa quel che vuole! Quindi... Mi accontento del sole locale. Mangio. Entro in camera a sistemare tutto. E penso alle foto.

Quali?

Quelle che farò - o meglio, saranno fatte- tra poco alla giovane Pin-up, fan di Marilyn Manson, che abita questa casa. Ieri mi è stato chiesto se fosse possibile fare delle foto. E io non sono geloso della mia Lambretta, sana ed affidabile! La presto volentieri allo scopo! E finita la colazione, regolo il conto dell'alloggio e del vitto serale, e preparo il ferro celeste per il set fotografico.

Ambientazione agreste, bucolica. A servire da sfondo i  campi coltivati e una tettoia. Inquadrati un paio di elementi; attorno,una flotta di persone. Telefoni alla mano, e via alle foto. Quanto è carina, quanto è bella, lei, la mia celeste. Troppo luccicante, si, perlamiseria, ma... Rimane sempre lei. Aggressiva dal cuore di alluminio, pugno di ferro in guanto di velluto. Sta bene anche con una "vagina" seduta sopra! Che versatilità!

E mentre penso tutto questo rido. E anche abbastanza. Finito il servizio arriva il momento di caricare! Salgo in camera, prendo tutto e provo a partire. Saluto le persone che mi sono state vicino per le ultime 15 ore e scalcio fumante verso la valle. Scendo ripidamente la veloce discesa: direzione Borgo Val di Taro.

Corro lesto poiché il tempo non sembra dei migliori a nord, dove sono diretto. Nuvole bianche all'orizzonte sembrano panna montata sopra le montagne. So cosa portano con loro. E non voglio esserci quando penseranno di liberarsene. Da Pontremoli sbaglio strada. Caspita, stavo già per dirigermi a Parma, senza saperlo. Mi oriento e indietreggio, in discesa, per un paio di chilometri... Mi rimetto sulle retta via e senza tema accelero. Questa strada mi piace, mette paura ogni tanto, ma è bella e ha carattere. In verità non credevo di dovermi impegnare nel superamento di qualche passo montano ma non ho alternative. Col giubbotto di pelle adeso alla mia epidermide proseguo oltre il primo passo a quasi 1000 metri sul livello del mare. Un'alta marea potrebbe far variare questa misura. Ma non importa. Anche di qui son passato! E vado oltre, verso Borgotaro. Nell'approssimarmi al paese ho un presentimento. Anzi, due. Il primo: presumo di aver sete, e di voler bere; acqua, ma anche vino. Non insieme. La prima propedeutica al secondo. Due: quanta miscela mi rimane realmente? Assolvo subito alla cosa più grave, il mio abbeveraggio. Arrivo in piazza Farnese, mi volto. Bar. Mio. Fermo. Scendo. Entro. Sorrido. Lambrusco. Siedo. Una cameriera mi porta quanto ordinato. E Che soddisfazione! Chiamo Giacomo, con lui sono d'accordo per esser a Piacenza nel pomeriggio per poter cenare assieme la sera. Nel frattempo cerco un BeB. Giacomo è un amico, condivide con me la passione per i ferri vecchi, e mi ha aiutato nella strada per il primo tour. Lo vado a trovare volentieri, e lo incontrerò nel pomeriggio. Nel frattempo il tempo muta, sono le due e penso che sia meglio sbrigarmi. Dimentico della miscela accelero e striglio il mio glabro ammasso di equini sulle ruvide appendici toscoemiliane. Accelero gravemente, non ho pietà. Verso Bardi rimembro la miscela. Cerco e trovo, preoccupato, il distributore. Molto bene. Chiuso. Io, in verità, non credevo più possibile il fatto di trovare un distributore chiuso. Con orari ben definiti per l'erogazione di carburante e senza self! Per non parlare del fatto che, il mercoledì, l'esercizio rimane comunque chiuso. Altri tempi... E altro distributore da cercare. Aggancio il gps alla rete dei distributori: Bore. Qualche chilometro più in là e prima di sapere di dover oltrepassare un altro passo. Passare il passo è un passatempo ansiogeno sta volta. Non voglio spingere a mano, a piedi, la mia mula... Corto e spero. A spanne non andrò nemmeno in riserva, e per sicurezza non controllo per vedere se ho ragione. Controllare non serve. La sicurezza di arrivare basterà. E così è.

Sotto le prime gocce di pioggia arrivo al distributore che non accetta il nuovo conio decinale. I nuovi 10 euro non gli piacciono. Entro in un bar e chiedo un vecchio foglio in cambio del mio, che spero il macchinario accetti. Inserisco. Prego che il distributore accetti. Metto l'olio. Rifornisco. Quasi pieno. Chiudo tutto, le due gocce di pioggia se ne vanno, lo sapevo che anche questa volta non avrebbe piovuto... E guardo il cielo, che sempre mi è favorevole! Sempre!

Riparto tra gli sguardi dei vecchi del bar antistante il distributore, non serve un apparecchio acustico per sentirmi o occhiali per notarmi! E volo via tonante!

Posso sfogare ora la mia gioia allontanandomi dalla pioggia, e corro non curante del consumo di carburante! Passo paesi e case, paesaggi stupendi ed anguste vie. Verso Piacenza, meta di oggi, splende un timido sole. Mi fermo per trovare un BeB per la notte. Trovo e chiamo. La signora risoluta mi offre anche il suo garage... Trovo Giacomo dopo le 18. Mi accompagna con la sua fiammante Lambretta 125 seconda serie al mio dormitorio, che sorge nel centro della città. Ma non nel centro generico, ma proprio nel centro specifico, al quadrivio formato da Cardo e Decumano. Il centro, base di partenza per la fondazione di Piacenza. Al sesto piano di un vecchio edificio trovo la mia camera. Non prendo l'ascensore per salire e la signora mi scambia per un tipo atletico. Non le rivelo che sono solo stupido... Lascio il mezzo in custodia al garage, salgo e mi lavo. Esco a cena con delle splendide persone, e mangiamo carne e beviamo vino. Nel locale tutto va bene, anche le cameriere. Voglio poter ricambiare. Li attenderò ad est. E intanto scende la pioggia, quella seria. Ma per oggi basta. E muoio di sonno, tra i denti aguzzi di Morfeo.

giovedì 30 luglio 2015

On the road. 29 luglio. Epic.

Non attendo la sveglia, è lei ad attendere me. Aspetta che mi svegli, e suona, un'ora dopo...

Ore 7.59. Sono sveglio e voglio dormire. Respiro a fondo e mi rigiro. E giro ancora. Dormo disteso da sveglio, come un vampiro, solo che non aspetto il buio. Il materasso è confortevole, tutto mi fa pensare che stare a letto va bene. Va benissimo. Fa benissimo. E obbedisco... Fino alle 9.01.

Mi alzo, apro le finestre, osservo il panorama, in mutande, a petto nudo. Che spettacolo questa corte, costellata di vecchie case e mattoni. Bello. Etereo. Lieve. Come l'aria fresca nelle narici. Mi dedico alla mia persona, passando per bagno. Torno in camera, assemblo le stesse cose di ieri e mi vesto. Alla buona, tanto per far colazione. Al piano di sotto tutto è già pronto. Caffè, biscotti friabili bianchi, pan tostato e carta e penna. C'è un concorso indetto dai proprietari del BeB: massimo 40 parole. A vanvera. A scelta. E io so scegliere a vanvera, lo so fare. E lo so far bene. Premio: una notte gratis presso la struttura. Non so se vincerò, ma non me ne curo, e scrivo le ultime due frasi del mio vagabondare quotidiano, buttate giù la sera prima. Hanno carattere. Piaceranno. E mentre scrivo mi abbandono alla colazione selvaggia, compresa una dose massiccia di caffè. Non necessario, ma pure utile, assieme a quei buoni biscotti. Che pacchia! Che bello!

Lascio la sala e torno in camera, per preparare le borse. Ripasso in bagno, prendo le mie cose, serro tutto e una volta sceso, esco. Carico il mio somaro di razza, stringo i paramenti, monto in sella e. Basta.

Scendo.

Mi sono dimenticato di tirare il filo della frizione, ieri non mi sembrava a posto, pur a frizione in azione il mezzo tendeva ad avanzare, senza forza, senza irriverenza, ma con quel po' di sfrontatezza che non mi piace. E quindi, da dottore qual sono, plurilaureato e col beneficio della lode, opero. Giù il cofano. Recupero la chiave da 10 nel vano sotto sella - scomodo, caspita, cazz- la estraggo dalla tela, bianca - una volta- e agisco. Svito di un paio di giri la vite di regolazione, e stabilizzo tutto. Tampono le mie mani, madide di sudore e cosparse di olio, e torno in bagno a ripulirmi. Asciugo, scendo. Chiudo. Salgo. Saluto mosche e cavalli. Metto nella stiva un pacchetto di biscotti che Elisabetta mi ha regalato. Scalcio. Vado. Fumante lei, scoppia di salute! Che ecologica bellezza! Che puledra!

Da qui sarà tutta SS12, fino a Pievepelago. La SS12 è bella, sinuosa, tortuosa, oggi particolarmente ventosa, ed insidiosa. Buche ed ostacoli non mancano. Ma li supero tutti. D'altra parte son quasi solo su questa via, un cavaliere solitario... Con calma, risoluto, arrivo a quasi 1200 metri di altitudine. È verso questo apice sommo che noto uno dei pochi mezzi in circolazione andare a velocità sostenuta nella mia stessa direzione. Una panda, color della neve, nuova, a metano, condotta da una bianca suora, mi sorpassa... O sorella. Che il buon Altissimo la benedica!

Si allontana, non veloce, ma più solerte di me nel pigiare l'acceleratore verso la sua meta. Per il resto tutto scorre liscio e bello. In poco tempo sono a Pievepelago, tappa designata per il rifornimento mio e della mia docile belva di montagna. Olio e benzina. E vino per il conducente, pur io devo carburare! Mi fermo ai rispettivi bar, per lei 6 litri di benzina, per me un bicchiere di rosso. In questa occasione lei beve più di me, lo so. Ma rimedierò. E dissetati, sotto venti favorevoli, voliamo verso Passo delle Radici. Il paesaggio è incantevole, colorato - per quanto ne possa capire- e profumato. Ogni tanto qualche folata di liquame  interrompe il profumo dell'erba e di qualcosa che non so descrivere ma che ho sentito solo qui. Un profumo che si fa inseguire, ma che non riconosco un altre cose. Seguo il mio olfatto, come un signore, un baffo, che trovo sulla strada segue con lo sguardo la mia lambretta, decidendo alla fine di salutarmi. Che coppia! Le nostre livree luccicano al sole! Fino alla meta, posta a 1529 metri.

Arrivo in seconda marcia. So che questo è solo uno stop provvisorio, una sosta breve. Voglio infatti arrivare a San Pellegrino in Alpe, più in alto. Mentre sosto nel parcheggio della foce delle Radici e osservo la strada che mi attende, l'occhio mi cade su una scritta, bianca, impressa sull'asfalto. Una freccia stilizzata sormonta la parola EPIC, e punta la strada che sto per percorrere. Senza dubbio. Appoggio un piede a terra, tolgo il cavalletto, mollo la frizione mentre accelero. D'un tratto arrivo a 1796 metri. Mi avvisa un simulacro cristiano... Vedo San Pellegrino, ed è tempo di fermarsi. Bar.

Parcheggio. Scendo. Osservo. E la prima persona che vedo è Capitan Findus. È lui, che invecchiato ora porta gli occhiali, in compagnia di Mortisia Adams. Rubo una foto, non per privare qualcuno della propria immagine, ma per poter esser creduto. Entro, ed ordino. L'ordinazione richiede del tempo, circa 10 minuti. Non so bene il perché, ma un bicchiere d'acqua e uno di vino ci hanno messo del tempo ad essere pronti sul banco del bar. Ed in verità, devo anche dire che non mi interessa punto di quanto tempo ci abbia messo quel signore tremante a preparare tutto, poiché nel frattempo mi ritrovo ad osservare una partita a carte tra due anziani giovanotti. Di uno, però, so una cosa: l'amico pensa che possa vincere anche con degli stracci in mano, l'ho sentito, l'amico, confidare tal segreto all'oste. E caspita, mi vien voglia di vincere a quel tavolo. Ma il proposito è insano. Su. Dai... Lascio tutto per i bicchieri. E mi accomodo fuori, così non ci penso più. Sosto mezz'ora, al fresco, tra Capitan Findus e un nuovo compagno d'avventura, il cosiddetto "idrovora". Idrovora, toscano vegliardo, calvo e azzurro, in compagnia della sua Amelia, appariscente bionda cotonata, non sta zitto un attimo; racconta e dice: "Amelia hara, se te tu saphessi... Quella hosa che ti discevo...". Idrovora sta zitto solo per rafforzare il suo soprannome. Idrovora... succhia il gelato con la cannuccia dal suo bicchiere, e fa un rumore che lo si sente fino in valle. Idrovora ad un certo punto mi ha proprio deluso; finisce il gelato. Proprio mentre io finisco o il vino. Allora entro. Guardo il tavolo dei giocatori di carte. Guardo il banco. Pago il conto di ben 1 euro. E me ne vado, scalciando il pedale del mio bolide a 10 centimetri dal povero idrovora...

Il paesaggio è incantevole. Ma la discesa che mi attende verso Castelnuovo di Garfagnana è olimpica. Perlaputtana, che ripida! Ricorda quella dell'Aprica che feci di notte... Ma che impressione! La percorro coi freni tirati, tutti! E me la cavo con stile, giù, verso la valle. Una volta sceso le strade cominciano a comporsi, a dividersi, a dirimersi. Ma... Quella scritta, quella freccia. EPIC. Lei non mi abbandona. Ogni volta che perdo la retta via ritrovo lei, stampata sull'asfalto; dopo la seconda volta, decido allora di seguirla, tanto non ho meta, non ho compiti. Vado ad istinto, intuito, e non sbaglio.

EPIC, con freccia. La trovo sulla strada. Lo stilemma sembra lì per me, ma prima di me qualcun altro sarà stato EPIC! Ma non importa, ora lei è per me. E seguendola arrivo fino ad Aulla, sulla strada poi per Pontremoli. Che spettacolo! Esattamente dove dovevo andare, senza quasi impiegare cartine. Non voglio pensare al caso...

Verso Pontremoli chiamo per recuperar un posto per la notte. Trovo un BeB. Lo raggiungo. Ad attendermi una bella famiglia, con due ragazze carine, sorelle. Stile Pin-up! In pendant con il mio selvatico ammasso di puledri. Mi preparano anche la cena, gentilissimi. Passiamo il dopo cena a discutere, tutti assieme, in salotto. Tutto piacevole. E tutto va. E domani si riparte...

mercoledì 29 luglio 2015

On the road. 28 luglio. Dormo coi lupi.

Dormo. Abbastanza per aver bevuto una FantaLemon+Menta con GiordanoVag. Non siamo soliti a questi strappi alla regola... Non di lunedì sera.

Mi alzo, senza nemmeno svegliarmi. Controlli di rito: bagno, cucina, mail, borse, scarpe incollate di fresco, caricabatterie per il telefono e chiave da otto - da mettere in tasca - non si sa mai. Chiudo le borse. Chiudo le persiane. Scendo dal nonno prima di caricare e mi assicuro che la sua ottuagenaria prostatite sia in celere e risoluto miglioramento. Lo sento bestemmiare ed inveire contro mia nonna. Il vegliardo sta bene, senza dubbio. Minge che è una meraviglia - brutto a dirsi, ma per chi non ha mai provato tal difficoltà prima degli ottant'anni...
Decido di partire ed ovviamente non lo saluto ufficialmente. Gli dico solo che torno dopo. Molto dopo. Torno al mio piano, il primo. Scendo e carico tutto. Apro la porta che da sul cortile, scalcio e vado. Dopo 100 metri son già fermo per salutare la mia mamma e mia sorella. Il babbo non c'è. Pazienza. Se non mi vede sa che sto bene... Bevo un bicchiere d'acqua in un sol sorso. Penso che tutta la mia vita avrà quella sensazione di semplice leggerezza, quella che sta nel trangugiare, senza respiro, un bicchiere d'acqua liscia e fresca. Contemplo il cielo. Decido che si va. Scalcio una sola volta la fiera celeste e mi volto. In quel momento arriva il mio babbo, lo saluto in corsa, con un cenno della testa. So che mi ha visto e pensa: "speriamo metta la testa a posto... ". Fa un cenno anche lui... Lo ammiro per la sua testardaggine e la sua tenacia. E anche per la sua speranza.
Accelero.
Pochi chilometri e mi fermo. Dieci e quaranta. Tappa obbligatoria con uno dei miei angeli custodi alla partenza degli scorsi tour. Elena.
Sono stato il testimone delle sue nozze, nemmeno un mese fa. Ci vogliamo bene, da molto tempo. Ha deciso che almeno uno saluto lo deve portare anche a nome degli altri. Caffè, brioche, spritz e prosecco. Chiacchieriamo un'ora, poco più, in un bar quasi anonimo, fuori dal centro, senza ombrelloni parasole. Parliamo. E parto, prima di mezzogiorno, per poter essere a Ferrara in tempo per recuperare l'olio miscela dal mio fido meccanico. Percorro la SS16, che oramai pensavo di conoscere. Solo che non ricordavo tutte quelle curve. L'ho fatta di notte, vero, ma... Mi pareva più diritta! Cioè. Mi pareva solo dritta!
Ma non importa, so dove devo arrivare... Ma lungo la strada mi imbatto un un paio di cose che mi fanno sorridere. Incontro un cartello plasticato che reclamizza la festa della trippa. "vota la trippa", che ambiguamente mi fa pensare a ventri gonfi e tronfi di omoni di paese, esposti al pubblico ludibrio... Tutto ciò a Battaglia Terme, non lontano da casa in verità!
Proseguendo vedo un fumo esageratamente scuro e denso, in lontananza, già verso Rovigo. Non deve essere un pagliaio a bruciare...
La strada va, e scorre sotto le morbide e calde gomme, senza intoppi. Incontro molti autovelox che si rivelano inutili per me, un po' perché ho il contachilometri in panne dall'incidente dello scorso anno, un po' perché comunque vado con calma, e degli autovelox non li interesso punto. Non fanno per me, non oggi. E in due ore sono a Ferrara. Mi attende Alberto e l'olio per miscela. Lo trovo facilmente, a casa. Gentilmente scende dal suo appartamento con due litri di ottimo olio per miscela. Uso solo quello è lui è il mio pusher ufficiale! Chiacchieriamo un'ora, di motori, lavori, cose varie... Gli sottopongo il suo motore per una veloce visita. Responso: finché va, non ti preoccupare... Obbedisco, lo saluto e mi muovo verso sud. Attraverso con spirito la pianura che da Ferrara muove verso Modena e Vignola. Mi stupisco solo del caldo che ad un certo punto sale dal terreno piano e padano. Atroce. Biblico. Caldo.
Mentre corro ricordo di aver sete. Son già passate le quattro, non ho mangiato e non ho bevuto nulla dalle undici e mezzo. Forse una sosta non farebbe male! E poi, non ho ancora fatto miscela, manca poco per rimanere a secco. Inizio a guardarmi attorno per vedere la possibile preda, meglio dir meta. Trovo un distributore e mi fermo. 10 euro di benzina e una richiesta al benzinaio:un bar. Mi indica, gentilmente, quello davanti al distributore. "UE, ci sono i cinesi eh, ma per rinfrescarti va più che bene!". Ok. Ho sete. Mi fermo, e ordino. Due bicchieri d'acqua. Il bar non era male, diciamo che la clientela non era però delle migliori. In sostanza il nucleo umano era composto da giocatori di VLT, slot machine et similia. Triste come paesaggio. Però noto che lì sono ben accetti, hanno la loro stanza separata, con l'aria condizionata. Un piccolo ghetto. Esco e riprendo la marcia. Non son soddisfatto. Cerco ancora. Passando per Budrie, ad un certo punto scorgo una struttura fatiscente, sulla destra, con impressa una dura e rigida scritta: forno. Poco prima mi accorgo di un accrocchio di anziani, seduti sotto ad un portico coperto da una tenda. E vedo una timida insegna di un caffè. "Non ti curar di loro... Ma guarda e passa", mi dico. Ma passato quel piccolo centro, dopo pochi metri, mi accorgo che la desolazione sembra pervadere molto di quei luoghi. Ho sete. Mi giro e torno al bar di Budrie. Oramai ho deciso. Arrivo. Sosto. Spengo.
La clientela è... Tipica. Il bar è un esercizio statale, senza le pensioni morirebbe, subito. Ma non importa. Le apparenze a volte ingannano. Altre no. Ed infatti... Entro e come prima cosa una scritta, fatta a mano, colpisce il mio sguardo. Sorrido e fotografo per essere creduto... Il locale è fatiscente, l'oste e una oste. In tema con il locale, è quella che a Roma chiamerebbero una "buzzicona". Bassa, capello lungo, raccolto a coda, color grigio variegato bianco, occhiali spessi e tondi e denti distribuiti a caso in bocca. Gentile, professionale, dalla camminata piuttosto posticcia. Mite. Chiedo del cibo, e lei mi offre del pane, con dell'affettato. Qui la moda è dettata dai "ciccioli", grasso di maiale compresso che assicurano essere delizioso. E sia. Panino coi ciccioli. E vino per sgrassare l'ugola. Mi siedo fuori. E noto una cosa, mentre rispondo via messaggio a quesiti olandesi ed italiani. Un anziano ragazzo si pone di fronte alla mia lambretta. Non capisco bene il motivo, ma mette una sedia difronte alla mia lambretta. La osserva. Lo segue una signora. Sempre cliente del bar. Dopo cinque minuti... Un signore sempre della stessa risma si accomoda a fianco a loro. Mi chiedo cosa ci sia da guardare che io non possa vedere. O la curiosità per il mio Bucefalo è talmente forte... Continuo ad osservare, sorseggiando il secondo bicchiere di rosso. E continuo a non capire. Io vedo due cose nella direzione in cui tali personaggi volgono il loro sguardo: la mia lambretta, ed una lapide. Poi sussiste un campo di mais... A meno che non lo stiano osservando mentre cresce...
Non risolvo il mistero. Abbandono la sfida. Pago il conto, salutando la oste. Monto in sella. Saluto la mia triplice astanza e vado. Vignola mi attende. E anche Pavullo! E corro, tra le colline che uniscono Marano sul Panaro e San Dalmazio. Che spettacolo. Che bellezza. Odori e profumi, colori gialli e scuri. Osservo il creato e ringrazio per essere passato di qua. Lesto arrivo al mio rifugio, a Monta. Un BeB trovato per caso. Mi accolgono un paio di cavalli e a seguire i proprietari, amabili e tranquilli. Chiacchieriamo un'ora e mi prenotano una osteria per mangiare. Mi affetto per raggiungerla. Lo avrei fatto a piedi ma, dicono, in giro ci sono i lupi. Io che pur bestia sono, decido di muovermi a cavalli, non con i loro, ma coi miei. Vado in questa osteria, affollata. Mi siedo lentamente ed annuisco alle prima cose che sento, aggiungendo vino e acqua. Mi arriva di tutto, tigelle, gnocco fritto e salumi con verdura. Mi mangiato cose simili... Mi metto a cercare la metodologia corretta per assaporare queste cose e chiedo ad amici e donzelle... E decido che ho ragione io. Assaporo tutto, bevo e festeggio. Non da solo. Al banco un personaggio beve direttamente dalla caraffa il vino spinato, pure lui avrà un buon motivo per festeggiare. Pago il conto è torno al BeB, col freddo. Riparo la cavalleria. Apro la porta. E riposo. Io, coi cavalli, i due asinelli, e i lupi, tutti qui, a farci compagnia.

lunedì 27 luglio 2015

27 luglio. Una mattina come le altre.

Uh! Che giornata!

Mi sveglio, alle 6.00. Non un minuto di più, non uno di meno. Ma non lo faccio volentieri, diciamo che sono stato svegliato. Un rumore assordante riempie i miei padiglioni auricolari. Un diluvio. Ma non un diluvio vero. Una cascata di pioggia, placida, senza un filo di vento. Pacifica. E tanta. Impassibile a tale fenomeno, mi sposto dall'altra parte del letto e mi riconcilio con Morfeo. Attendo qualche ora ancora prima di partire e approfitto per riposare. Sarà sempre poco, ma va bene lo stesso.
Alle 9.26 sono vigile, pronto. Mi alzo, volo in studio, preparo le valigie e via. Non faccio colazione, mi fermerò strada facendo. Non ho appetito ora. Però in bagno devo fare sosta breve, almeno per vedere che faccia mi ritrovo stamattina. Da ceffone, come al solito. Pazienza. Sorvolo.
Apro la porta, scendo le scale con la borsa da scudo sotto braccio. Scalo i gradini, veloce. Assesto il recipiente di tela al garrese del fido ronzino. Torno su a prendere lo zaino, scendo e lo assicuro sul retro del mezzo. Salgo. Chiudo finestre e persiane. Controllo di aver tutto. Quasi. Ricontrollo. Ma prima di essere sicuro riscendo le scale per salutare i miei nonni. Non sanno che parto. Meglio così.
Al saluto però una sorpresa... Il mio vecchio nonno ottuagenario, quello che dice che a me piace girar per paesi, non sta bene... Faccio finta di nulla, trasformo questa partenza in una mattina come le altre. I miei zii e mio cugino, temporaneamente in villeggiatura da me devono partire per un matrimonio a Venezia. No. Non posso partire. E allora decede anche l'idea della partenza pomeridiana. C'è un buon motivo per rimanere a casa oggi.

Nel primo pomeriggio alleggerisco la bestia. Scarico zaino e borsa. Domani è un altro giorno. Domani - forse - si parte.

domenica 26 luglio 2015

26 luglio. Un buon motivo.

Diciamo che c'è tutto o che, se non tutto, per lo meno spero che ci sia abbastanza.

Ho dormito poche ore stanotte, quella manciata di minuti sufficiente a farmi rimanere sveglio per il resto del giorno. Mi rollo qualche minuto nel letto prima di svegliarmi, alzarmi, sciacquarmi e volare una trentina di chilometri verso sud. Levata complicata, ma convinta quella di stamattina! Alle tredici e qualcosa appuntamento da Francesca: pranzo con amici, attori, persone a cui voglio bene. La stessa compagnia che lo scorso anno mi aveva salutato prima della mia partenza. Più o meno la stessa che saluto oggi al mio spavaldo arrivo a bordo di un PK fulvo, portando in dote dell'insalata di pollo - e perché si chiami così tal pietanza, io non lo posso capire. Tuttavia, salutati gli estivi commensali e appoggiata sul tavolo, l'insalata presto svanì, volata via forse col suo pollo, nelle avide ed affamate interiora dei miei goliardici amici. - E brava la mia mamma, sapiente cuoca, osannata da tutti per questa docile portata! -. Complice il buon vino, il buon cibo e la buona compagnia passa il tempo, tra una battuta e l'altra, tra un fervido disquisire e una fetta di delizioso dolce preceduto da un richiestissimo caffè! Evidentemente non sono il solo ad essere tornato tardi la notte precedente, seppur i motivi dei rientri - che definirei oramai quasi mattutini- fossero ben diversi...
Dopo l'amaro però cedo. Crollo. Colto da stanchezza precoce, decido che l'ora per tornare è giunta. Non è mia abitudine, lo so... Ma mi ritrovo esausto. E decido di accelerare verso casa. Devo preparare lo zaino. Non so ancora se partirò domani ma certo è che se non preparo un minimo di attrezzeria di sicuro sarà più difficile pensare di poter partire... E così faccio. Arrivo. Parcheggio. Scendo e con difficoltà mi reco a caricare quasi alla studiata rinfusa un po' di merce per il viaggio: vestiti, camere d'aria, olio per miscela, fil di ferro... Un po' di cose insomma. Il minimo indispensabile.
Un'ora. Non è ancora tardi.
Ho quasi finito. Ma... Abbandono il compito e passo a salutare i miei anziani consanguinei e mio cugino. Stanno mangiando e sto un po' con loro. Allo stesso tempo ricordo cose da portare con me, accorgimenti da prendere... E ricordo che devo aggiustare le vecchie scarpe con della colla... Pensieri.
Ho un abbozzo di percorso in mente. E ho un buon motivo per partire. Non è molto, è vero, ma forse è quanto basta per capire se vale davvero la pena fare una cosa. Io credo che, in questo caso, ci si possa provare.
Saluto e torno alla mia opera di carico. Cerco di concentrarmi, ma c'è sempre una ottima distrazione... I miei amici Vag si troveranno stasera, come al solito, come ogni domenica, tra artisti, musicisti, buoni bevitori e ottimi pensatori. Vorrei essere con loro, a dare il mio buon apporto, mi farebbe piacere e soprattutto non si sa mai come va a finire. Ma decido di portare quasi a termine il carico. Mancherà qualcosa che forse inserirò domani mattina, se lo ricorderò. E forse non sarà importante. O forse basta solo un buon motivo... L'unica cosa che valga la pena caricare.


martedì 30 giugno 2015

Si riparte...?

Arriverà il momento di ripartire,
Con esigue risorse, lo so, ma... Sento l'assenza dell'essenza del mio bel vagabondare. Chissà...

mercoledì 4 febbraio 2015

Immortale... Finchè dura.

Bergamo - Padova, 137 km/h, Mercedes 220D. Vedo i SUV diventar piccini nello specchietto retrovisore. Diventano suv. Senza le maiuscole.

mercoledì 7 gennaio 2015

La pazienza è la virtù dei forti [?]

Credo fermamente che il mondo mi parli. O il fato. Insomma... Non sono folle del tutto, non ancora; sono abbastanza intelligente per poter capire che, se il mondo davvero non mi parla... Son allora io a voler intender un dialogo a senso unico da parte sua nei miei confronti. Per certi aspetti la cosa risulta affascinante ed interessante, pure stimolante... Per altri, quando penso che i segnali attorno a me stesso significhino qualcosa e cerchi al contempo di interpretarli, la cosa comincia a farsi seria...
Bella giornata oggi. Fredda abbastanza da farmi apprezzare lo sforzo compiuto dallo splendente astro per intiepidire la terra, sferzata nei giorni passati dal vento e dalla neve. Mi sveglio con la testa pesante. La malattia dei giorni passati segna ancora la sua presenza. Un colpo di tosse ed un fastidio persistente all'ossatura dorsale me lo ricordano, immediatamente, appena sveglio. Ma i piani non cambiano. Destinazione mare. Deciso. E sia. Mi abbiglio dopo aver ripulito la mia persona. Armi pesanti oggi: giubbotto. Sciarpa. Berretto di lana. Scarpe da ginnastica. Posso andare. Scendo ad accedere il mio teutonico ed anziano ferraccio. Temevo che, dopo il freddo di questi giorni, non avesse molta intenzione di mettersi in moto. Passando ai piani inferiori carico mio cugino, da me in visita provvisoria. Sarà il mio compagno di viaggio di oggi; lui, assieme ai miei zii. Con lui salgo in macchina e metto in moto: tutto regolare, al primo colpo tutto funziona... Che spettacolo il mio vecchio Mercedes!
Decidiamo, io e Giovanni, che dovremmo andare in Mercedes al mare. Ma desistiamo, variamente immotivati, in favore di uno scomodo, ma nuovissimo, RAV4. Il viaggio non è lungo, né impegnativo. Per la verità ce la spassiamo sui sedili posteriori, visto che a condurre la vettura non sono io.
In settanta minuti arriviamo a destinazione e, in quattro, decidiamo di assalire un piccolo bar per un aperitivo - cosa buona e giusta in un momento del genere. Una volta consumato il frugale pasto e corrisposto quanto dovuto, ci dirigiamo in un locale più adatto alle nostre fameliche intenzioni. L'accoglienza è ottima nel locale: vino rosso, pesce, verdure fritte... In un paio d'ore ci siamo riempiti tanto da poter pensare di uscire dal ristorante rotolando. E fortunatamente la meta della giornata è vicina: le sculture di sabbia ci attendono da venti giorni. Oramai son stanche di aspettarci, e su di loro cominciano pure a crescere dei timidi, ma coriacei, fili d'erba. La nostra presenza di sculture di sabbia è costante oramai da qualche anno. Volentieri osservo ed ammiro queste statue provvisorie di artisti a me del tutto ignoti, ai quali però non si può dire non appartenga un certo gusto e, in alcuni casi, una certa raffinatezza stilistica. L'instabilità della loro condizione mi ricorda la mia; instabile uomo ovunque mi trovi o non mi trovi, anche figuratamente parlando... Così in poco tempo fuggo da quel luogo che tranquillamente e ciclicamente si erige quale monumento alla provvisorietà e mi dirigo verso il mare. Oggi la distesa d'acqua che davanti a me si estende non sembra docile. Ma mi piace renderle onore quando posso... E mi reco verso il pontile più lungo che riesco a scorgere. Io e Giovanni siamo avanti e notiamo che è normale sentirsi piccoli davanti ad una distesa d'acqua rumorosa e molto mossa. E mentre discutiamo di questo noto alcuni segni tracciati sulla sabbia, proprio difronte al proibito accesso al pontile che ho scelto di frequentare, di lì a poco, per qualche minuto... Mi allontano per osservar bene e mi accorgo di una scritta. "LA PAZIENZA È LA VIRTÙ DEI FORTI". Tutto in MAIUSCOLO. Volgo il mio sguardo dalla parte opposta. Vedo un pontile che si ferma ad un certo punto, ed una agitata distesa liquida che continua all'infinito... Credo d'aver inteso il messaggio...



venerdì 2 gennaio 2015

Lezione di Educazione. Con la E. Maiuscola.

L'Educazione è una cosa sacra. Credo sia importante essere educati, sia nel senso passivo, sia nel senso attivo del termine.
Mi sveglio dopo le otto. Forse, in verità, anche dopo le nove, o appena dopo... Tuttavia non importa. Mi alzo dopo essermi arrovellato insistentemente tra le coperte autunnali. Gironzolo per casa, passando subitamente per il bagno, poi per lo studio, la cucina... Un tour domestico quasi quotidiano.
Il primo compito della giornata è portare mia madre allo studio medico per la riabilitazione. Non è anziana mia mamma, non molto per lo meno. Ma l'operazione alla spalla di qualche mese fa la obbliga alla riabilitazione giornaliera e, orfana forzata della guida, tocca a me condurla allo stabile deputato alla sua cura.
Scendo le scale che mi separano dalla umida terra al pian terreno e metto in moto il mio vecchio bolide tedesco. Parte ogni giorno senza problemi, un orologio; e ne sono fiero!
Esco in strada e passo a recuperare la donna. Mi aspetta... Sempre. Anzi, meglio dire: spesso.
Carico.
Parto.
La destinazione non è lontana; in quindici minuti, spesso noiosi e percorsi con palpebre pesanti, raggiungo la meta, vicina ad una pasticceria dal nome propizio ma che sembra essere passato abbondantemente in naftalina. "Ore Liete" sa di vecchio, di armadio impolverato, di dentiera scollata e di vestito blu della nonna dai capelli bianchicci - ma cotonati - della domenica pomeriggio, verso le quattro. L'arredamento anni novanta aiuta a capire altre cose. Tuttavia il servizio è ottimo, l'accoglienza sempre gentile, brioche e bevande varie sempre all'altezza... Nonostante tutto ci vado volentieri ed oramai sono conosciuto. Quando entro il sorriso di una graziosa signora mi accoglie, sempre, chiedendo se mi fa piacere il biscotto di pasta frolla alla marmellata e l'orzo in tazza grande che spesso ordino. Anche quando c'è molta gente e c'è la fila il trattamento preferenziale nei miei confronti non muta: come questa mattina. Il locale è pieno, e mi accomodo tranquillamente fuori, la giornata lo consente: grigia ma tiepida... ed affollata.
Avevo notato, in effetti, che il traffico nella zona era intenso, più del solito. Pensavo fosse giorno di mercato, l'età media della gente di passaggio lo confermava... Ma con calma ero riuscito a recuperare un parcheggio, passando vicino ad una auto grigia, giapponese, di piccole dimensioni, che non doveva evidentemente essere in un posto adibito alla sosta. Era proprio in mezzo al corridoio di passaggio principale, a pochi metri dai retro delle auto posteggiate perpendicolarmente a lei. Immaginavo che svincolarsi dal parcheggio per quelle auto sarebbe stata una cosa laboriosa con quel catorcio disturbatore fuori posto...
Tuttavia, la manovra di accesso al mio posto di sosta non è stata complicata. E non mi son curato molto di quel mezzo...
Ma dalla mia postazione esterna, ora, noto che quel mezzo è interamente in mezzo. E mentre vengo servito a dovere assisto ad una bellissima manovra di evasione da uno dei posteggi stretti a forza da quel rottamino giapponese.
Un'auto di dimensioni non modeste, BMW X5, si mette in movimento, capitanata da un uomo. Il pilota cerca di divincolarsi, in meno di dieci manovre è libero, senza urti, delicatamente; dietro di lui un mezzo attende che il suo parcheggio sia definitivamente libero. Tuttavia, l'uomo delle grandi manovre scende dal suo gigante tedesco, lasciando la macchina in mezzo al passaggio, vicino alla povera macchinina grigia. Ha in mano un blocchetto giallo ed una penna. E comincia a scrivere. Non lo vedo e non lo sento imprecare. Immagino annoti intimidazioni nei confronti del proprietario del grigio macinino. Immagino frasi del tipo: "impara a parcheggiare", "ma chi ti ha dato la patente", e amenità simili. Scrive il quarantenne, scrive con uno stile che invidio: calmo ma risoluto. Nessuno suona il clacson o si lamenta per la situazione; forse anche chi attende è consapevole del fatto che quel ragazzo stia tentando di far giustizia...
Deciso. Stacca il foglietto giallo. Lo appiccica con forza al vetro della giapponesina mal posteggiata. Ringrazia educatamente chi ha atteso - con altrettanta educazione - la fine della sua operazione. E va. Libero e veloce.
Io continuo la mia colazione. Tranquillo ma curioso di sapere cosa abbia scritto quell'uomo sul foglietto giallo appiccicato al finestrino. Voglio vedere. Non voglio non sapere. Finisco quanto ho ordinato. Decido di pagare, di fare le cose con calma. Di uscire e di avvicinarmi per leggere lo scritto su fondo giallo. E questo è quello che trovo...
Con un sorriso leggo questa frase che in veneziano suona come un insulto piuttosto considerevole... Rido. Ammiro quell'uomo...
Perché l'educazione è una cosa che ha un valore; e perché funziona sempre... Anche qui.