martedì 1 novembre 2016

On the Road - 18 Agosto.


Il cibo greco di iersera mi ha steso.

Ore 8. Buongiorno. Dormirei. Perlaputtana. Dormirei una settimana.
Ma mi alzo ché gli altri immaginari son già svegli. Faccio aprire un balcone per far entrare la fresca aria di qui. È una bella giornata, pulita. Col sole che splende sereno. E la strada che aspetta. E aspetterà ancora un po'.
Colazione con caffè lungo, grande. Non che la cosa mi piaccia ma... è così. E se avessi voluto un buon caffè sarei stato in Italia.

Udo, il padrone di casa, il proprietario del letto in cui ho riposato, è stato gentile ieri sera. Simpatico e ganzo, ha spiegato una cosa interessante. Vicino all'alloggio è presente una collina dell'altezza di circa 100 metri, dalla quale si ha la possibilità di vedere tutta Hannover.
Compito del giorno: scalare la collina e veder che c'è lassù e di che panorama si gode dall'alto.
Svolgimento: dopo il caffè si parte, si cammina, si raggiunge la meta.
Impressioni: unico. Unico perché c'è solo un luogo dal quale vedere tutta la città nella sua maestosità. Il luogo è questo. Alto, vicino al cielo.

100 metri non son così tanti. In verticale non sono una impresa ma, comunque, per evitare cali di zuccheri dovuti allo sforzo, c'è un'altra meta che Udo ha suggerito: la pasticceria. Non che fino ad ora io abbia visto nelle dolcezze indigene qualcosa di interessante, ma sono ancora in tempo a ricredermi. Anzi. Voglio ricredermi. E faccio il test.
Il locale è veramente... locale. In un angolo, vicino ai binari di una tratta veloce. Solo clientela abitudinaria. E lo capisco dai tre individui in tenuta da metalmeccanico seduti al tavolo. Con rispetto parlando, li ho scambiati, a prima vista, per tre scioperati, che fuggiti dal lavoro si scambiavano amene risate. Ma in effetti è così. Sembra l'Italia migliore, quella che timbra il cartellino al lavoro e poi si precipita a far parte della vita sociale. Mi sento a casa, nonostante i dolciumi ignoti e truculenti, e nonostante il secondo caffè espresso di oggi, servito su un modesto bicchiere di carta da 33cl, e disperso tra le pareti del contenitore prima di poter arrivare alla gola.
Non c'è niente da fare: italianisch is better, my dear friends from the krukkestan land!

Tralasciando l'assemblaggio dei bagagli e l'operosa sistemazione nel retro del mio anziano ma portentoso mezzo, si parte verso il distributore più vicino. I cavalli reclamano il vitto. E di conseguenza provvedo. Una cosa adorabile qui, in kruklandia, a differenza dell'arte dolciaria, è il costo del carburante. Gasolio euro 1,019 al litro. Per la miseria. Mi chiedo dove stia il problema nel mio bel paese, visto il costo del petrolio, ma decido di fare il pieno e di soprassedere.
42 litri. Km percorsi dall'ultimo pieno 750.
Una media di quasi 18km/l. Non c'è male. Fiero e ritto, metto in moto e vado. Destinazione Danimarca. Qualche ora di viaggio, poco più di 400 km, e si arriva.

E non sia mai che si rimanga a digiuno. 13.20. È l'ora della pappa.
Si esce dall'autostrada, una disperazione tra lavori in corso, rallentamenti e bilici in bilico. Approdo in un paese non così disperso e disperato da non poter offrire del cibo a dei viandanti.
X@fdVendorf è il suo nome. O qualcosa del genere. Non posso essere più preciso, la lingua mi è ostile qui.
In questo ristorante da signori per bene arrivo io, con il resto della ciurma. Pantaloni sportivi e maglietta azzurra, se non avessi il mio foulard ad ingentilire il mio aspetto, temo sembrerei un umile vagabondo. Ma tant'è, non bado alle camicie a fiori e ai calzini tra sandalo e carne del piede dei gentili signori che affollano il locale. E non bado nemmeno al fatto che sto abbassando notevolmente, con gli immaginari più o meno miei coetanei, l'età media dei banchettanti.
Ordiniamo, tutti. Wurstell, e patate fritte. E acqua, poiché non voglio fare lo screanzato in terra straniera dandomi alla birra locale.
Tutto buono, non c'è che dire, ma niente Da segnalare.
Ritorno al mio maneggio di purosangue dopo aver fatto saldare i conti ad un immaginario - non ricordo a chi- e via, verso la terra danese.
Senza intoppi, strade dritte, velocità regolare. Fino al confine.

Frontiera.
Per la zozza di Giunone. La frontiera. Con me alla guida, lo stop per un controllo - di routine - è assicurato. E puntuale arriva. Ci mancherebbe altro, figuriamoci. L’ultima volta che sono stato fermato ad un confine, qualche anno fa, è finita con un’ora di interrogatorio, doppio e separato. E per poco non c’era stata la perquisizione del mezzo. Che in verità sarebbe pur stata inutile. Spero di cavarmela meglio ora. Ma andrà sicuramente tutto bene sta volta, nel frattempo sono diventato un ganzo...
Mi immetto in una strada principale dopo km. E km. E km di strade vuote.
Svolto a destra.
Uomo in centro strada.
Paletta in mano, che libera volteggia nell’aria.
Giubbotto giallo.
Cappello.
Polizia.
Un solo cenno mi basta per capire che devo accostare. Eseguo.
A far da controllore una donna. Sorridente, chiede i documenti. Eseguo.
Chiede la destinazione. Recitiamo tutti assieme, contemporaneamente, io e gli immaginari, la stessa destinazione. La cosa è preparata ed efficace, una apparente sicurezza aiuta. E suvvia, pur loro devono passare.
Un sorriso esplicito sul volto della donna mi fa intendere che tutto è... A posto! A ulteriore conferma ricevo un complimento sul mio mezzo. E stavolta sorrido io, come so fare.
Ringrazio.
Saluto.
Accendo, inserisco la marcia e do gas.
Obnubilo la frontiera con il mio euro 0. E volo verso la meta, vicino al nordico mare danese.

Strada tranquilla, diritta come un fuso e veloce, liscia, libera. Verso il mare. Trovato il BeB, si svuota la merce dal capiente bagagliaio e si va a mangiare. L'isola di Romo par una buona meta.

Correndo lesto su queste strade il tempo si addormenta. Sono l'impressione e la sensazione di infinito le cose più stupefacenti che si possano provare qui. Perché correre non serve, le cose attorno si muovono sempre allo stesso modo, ed allo stesso tempo, ai 200 km/h o ai 70. La strada rimane dritta, sgombera e catartica, comunque ed indistintamente. Non serve correre. E forse non serve altro.

Romo.
Sempre diritta, sopra una diga, sta la strada che porta all'isola. La si vede, questa terra lunga, lontana, quasi piatta. E che piano si avvicina.
Ma quello che importa, qui, quello che conta, è la spiaggia che sta in fondo all'isola. Questa parte di terra, ricoperta di sabbia, è incredibile. Ampia. Bianca. Ma soprattutto solida. I mezzi ci possono andare sopra, e percorrerla. Senza problemi e senza tema di rimanere bloccati. Perché il suolo è si di sabbia, ma di sabbia solida! Ed incredibile! Indescrivibile.

Ore 20. Il nord mi... Infastidisce.
Alle 20 queste lande chiudono. Stop. Non si mangia, non si beve.
Per caso troviamo un country bar che serve ancora qualcosa. E ci si accontenta allora. Anche del servizio, offerto da una bionda ragazza d'altri tempi, che sembra uscita da Woodstock, coi suoi occhi chiari e sorridenti ed un viso accarezzato dalle rughe. Manca una corona di fiori – le trecce ci sono- ad addobbarle la fronte e tutto sarebbe compiuto.
Comunque... Toast e birra. Per tutti.
E si torna alla posta, per far riposare le bestie e la carne. E mentre guardo il soffitto sento, sulla strada diritta che costeggia la camera in cui riposo, il rumore di un motorino, che va, diritto. Perché comunque è lì che deve andare...
Oggi 450 km.
Sempre dritto.

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