martedì 17 giugno 2014

Mille.

Mi piacciono le cose vecchie. Non per feticismo. Non per partito preso. Ma perché mi piace capire come erano fatte. Amo carpire i segreti e scovare i particolari del "dietro le quinte".  Ma soprattutto mi piace il design e la forma di certi oggetti, indipendente dal fatto che siano ufficialmente preziosi o meno. 

Venerdì. Un giorno di metà maggio. Programma della serata: smantellare e riassemblare un palco. Due o tre ore di lavoro. Poi...
Tornare verso casa ed andare nella ridente località di Fossalta per assistere al passaggio della 1000miglia, in compagnia di amici e, sporadicamente, ma non troppo, di qualche "birraccia" che ben conosco.
Parto alle ore 18, già in ritardo. Prevedo di completare l'opera per le 21 ed in mezz'ora arrivare alla metà per gustarmi l'evento. Tutto abbastanza semplice a dirsi. Ma ho fretta. Voglio fare presto. Arrivato al palco esagero: smonto viti e tolgo le barre di sicurezza. Corro da una parte all'altra, va tutto bene, tutto come previsto. Finché... uno dei pannelli ai quali ho tolto la sicura non si sposta di mezzo centimetro. 
Io corro, salto sul palco, ignorando che quel pannello non fosse più in sede. Attraverso lo spazio e metto il piede in fallo. Errore. 
In mezzo secondo mi ritrovo per terra con una gamba sanguinante ed un polso dannatamente dolorante. Inveisco al cielo. Ripetutamente. Mi massaggio le ferite. Non è nulla di grave ed il mio collega mi offre una birra per festeggiare. Ma la gamba brucia ed il polso pulsa. Devo rallentare le operazioni. O soffrire di più. 
Decido di resistere. Voglio andare a veder lo spettacolo comunque. Chiamo i miei amici almeno cinque volte per annunciare che arriverò in ritardo. Non è bello organizzare una festa e non esserci quando questa si svolge. Per nulla. 
Finisco il lavoro. Più dolorante che mai. Alle 23. È tardi. Molto. E temo di perdermi la cosa più importante della corsa. Voglio veder passare Brian Johnson, con la sua Jaguar. Almeno quello...
Prendo il mio mezzo da lavoro. Accelero. Corro. Freno il meno possibile e solo se indispensabile. Sfreccio verso nord ed in quarantacinque minuti sono a destinazione. Manca poco alla mezzanotte. Parcheggio a meno di dieci metri dalla meta, la sorte mi assiste e mi permette di passare tra la folla, nel tratto di percorso riservato alla gara... Faccio caso ad una cosa in particolare: la gente che attende alla manifestazione tiene in mano una bandiera. Da un lato il logo della manifestazione, e dall'altro... Un simbolo che riconoscerei a chilometri di distanza: Mercedes. "Sarà di buon auspicio" mi sussurro da solo...
Raduno i miei amici che già hanno assistito a quasi metà  gara; ordino delle birre per festeggiare la mia sopravvivenza al disguido sanguinante di qualche ora prima; controllo i numeri delle macchine che passano. Ed inizio ad avere il sospetto che la mia attesa rock star non sia ancora passata. Faccio delle foto per capire come possa essere il risultato di una istantanea: pessimo. Ma non importa, proverò lo stesso. Mi metto su bordo della strada. 

Voglio vedere, osservare, gustare questi capolavori della meccanica e dell'estetica di altri tempi sfrecciare; li voglio sentire scalare le marce, lasciare nell'aria quel profumo di benzina Euro 0, del tutto illegale e criminale, ma estremamente affascinante. Osservo. Mi stupisco per le linee moderne pensate di più di sessant'anni fa. Per le prestazioni e la bellezza di alcuni mezzi. Per la cura maniacale ed esagerata che viene prestata nella manutenzione e nell'estetica. Sono affascinato da... tutto. Ed attendo. Attendo. Attentamente.
E la mia attenta attenzione attendente viene premiata. Con il numero 261, una Jaguar del 1953, sfreccia lui. Riesco a fotografare male. Malissimo. Indossa un berretto nero. Ma è lui e lo so. Lo immagino con un sorriso, scalare le marce per poi accelerare. Con una maglietta nera... Grande.
Una volta passato però non riesco a staccarmi dalla strada. Il fascino di queste vecchie ferraglie mi trattiene con forza. Vedo tra tutte un modello, bello, stilisticamente morbido ma aggressivo nell'impatto: una Mercedes SL3000. Di metà anni '50. Penso, tra me e me... È un amore a prima vista... Prima o poi ne voglio una.
Mi allontano di dieci metri per ordinare qualcosa di alcolicamente dissetante e per guadagnare un posto a sedere. La serata prosegue e le auto continuano a passare. Fino alle due la gara prosegue ufficialmente. Voglio vedere la fine. Voglio. Se il dolore alla gamba me lo permette... 
Tra le due e le tre, dopo la chiusura ufficiale della manifestazione, vedo passare ancora qualche auto. Le si riconosce, oltre che per l'età, per il numero esposto sul fianco... Immagino abbiano avuto qualche problema da risolvere...
Alle tre passate decido che è il momento di tornare verso casa e di medicare le ferite al polso ed alla parte inferiore della gamba. Raccolgo un amico e lo accompagno alla macchina. Un Vag non si lascia mai solo...
Stanco e dolorante arrivo a casa. Mi curo. Dilavo con l'acqua le fatiche della giornata. Mi distendo. Ad ogni giorno basta la sua pena.

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